Sembrano fatti lontani, che non ci toccano, che non ci riguardano, quasi. È sempre così.
Poi in una notte più piovosa del solito, si sfonda la tua porta di casa e la melma e il fango invadono tutto.
E poi la disperazione di chi ti sta attorno, che diventa anche la tua appena ne prendi coscienza.
Non so cosa si prova in quei momenti perché, per mera fortuna, non mi sono mai trovato a vivere tali situazioni estreme di emergenza e sofferenza. Però, come voi altri, posso provare ad immaginarlo. Posso provare ad immaginare quello che potresti vivere quando – notte tempo – ti trovi senza la tua casa, senza le tue cose più intime, spaesato per strada, nel fango, sotto la pioggia, a ridosso della montagna che scivola, del fiume che esonda, sulla terra che trema.
È una sensazione di angoscia, soffocante, che ti penetra dentro e si attorciglia allo stomaco.
È quello che si legge sui volti provati della gente che si trova a vivere questi drammi, a cui “il fatto” ha cambiato la vita. Il fatto, non il “fato”, nel senso più ampio e doppio del termine, perché quello legato a tali tragedie è – spesso – un destino artefatto, conseguenza delle azioni dell’uomo, della noncuranza, dell’ignoranza, della miopia.
E qui torna – in fretta estemporanea – il tema del rispetto della natura e del creato o, se suona meglio, del bene comune. Perché se non rispetti la natura, più prima che poi, in un modo o nell’altro, ti si ritorce contro, senza controllo, senza opposizione.
Quando si verificano questi eventi, l’unica cosa che puoi fare – oltre che rimanere vivo – è affrontare l’emergenza, per uscirne. Ma uscire dall’emergenza dovrebbe significare intervenire per prevenire il prossimo fatto, il prossimo evento, il prossimo disastro.
Eppure quanti ce ne sono stati prima dell’ultimo? Da quante emergenze, bene o male, siamo usciti? “Ci rialzeremo…l’importante è rialzarsi…teniamo botta”…sono le frasi che si sentono, incoraggianti, che danno speranza, che accompagnano chi va in aiuto alle popolazioni colpite.
Il movimento di solidarietà che si attiva, spontaneamente, in questi momenti è straordinario, a dimostrazione dell’immenso cuore e del forte sentimento di fratellanza che alberga negli italiani. Su tutte, quella del campione paraolimpico Simone Baldini che, costretto sulla sedia a rotelle, spala il fango in Emilia Romagna è un’immagine che parla da sola. Anzi non parla, canta la bellezza e il coraggio di chi supera ogni limite e si meraviglia – anche – dello “stupore” di chi ne ammira il gesto: “volevo solo dare una mano”. Di fatto si esce dalle emergenze, con forza, con coraggio, anche e soprattutto grazie al sistema di soccorso e protezione civile, che si attivano e che funzionano – onore al merito – e che sono fiore all’occhiello del nostro Paese.
Però poi? Cosa faremo quando saremo usciti da questa ennesima emergenza? Mentre le popolazioni colpite faranno i conti – purtroppo – con la lentezza delle fasi di ricostruzione, nonostante verranno stanziati fondi e sostegni economici, quali azioni concrete verranno intraprese? In mezzo al proliferare delle analisi di commentatori e politici, che si improvviseranno esperti e si diletteranno nell’identificare le cause in correlazione all’effetto, accennando strategie di prevenzione dettate più dall’emozione che dalla ragione, quale consapevolezza avremo? Continueremo le nostre vite in attesa del prossimo evento, sperando che sia sempre un momento e uno spazio più in là? Oppure capiremo – finalmente – che la tutela dell’ambiente, che le politiche di salvaguardia e rispetto del territorio non possono essere posticipate e sono necessarie oggi, perché lo erano già ieri?
Gli esperti, quelli veri, che da tempo ci mettono di fronte alle drammatiche conseguenze del cambiamento climatico sono categorici: questi fenomeni saranno ormai numerosi e frequenti. Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi, recentemente ospite al Salone del Libro di Torino, non usa mezzi termini nel commentare l’emergenza alluvionale dell’Emilia Romagna: “si deve agire sulle cause del cambiamento climatico, con azioni coraggiose, con opere di abbattimento e lasciare le aree che sono di appartenenza dei fiumi, perché avremo solo un’accelerazione di questi fenomeni”. Azioni concrete per salvaguardare il territorio e per rispettare l’ambiente. In altre parole il contrario di quello che abbiamo fatto fino ad oggi. Se non ora, quando? Verrebbe da chiedere.
Foto copertina presa da Pixabay