“E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. […] Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.” (Stralcio del discorso che Bettino Craxi – ex Presidente del Consiglio e Segretario del Partito Socialista Italiano – tenne alla Camera dei Deputati il 3 luglio del 1992)
Italia 1993. Siamo in pieno periodo delle inchieste su “tangentopoli”, condotte dai magistrati del cosiddetto “pool di Mani pulite”, iniziate nel febbraio del 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, dirigente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Le inchieste del pool riguardavano tutti i partiti, principalmente quelli più “potenti” di quel momento storico, ovvero il Partito Socialista e la Democrazia Cristiana. A Bettino Craxi, storico leader socialista di quegli anni, venivano addebitati diversi episodi di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, tutti riconducibili in qualche modo a quella che – come lui stesso riconobbe nell’intervento alla Camera del 3 luglio 1992 – era una “prassi comune” praticata da tutti i partiti: il ricorso al finanziamento illecito da parte dei partiti politici. Il 29 aprile del 1993 la Camera dei Deputati votò, a scrutinio segreto, sull’autorizzazione a procedere nei confronti dell’On. Benedetto Craxi, detto Bettino: su 6 richieste 4 vennero respinte e 2 approvate. Il giorno dopo vi furono molte reazioni di protesta, alcune politiche con il ritiro delle delegazioni di partito dall’allora Governo guidato da Azeglio Ciampi, altre di piazza con diverse manifestazioni organizzate in tutta Italia. La sera del 30 aprile 1993 una di queste manifestazioni degenerò in quello che è stato spesso definito come uno dei “momenti più rappresentativi” di tangentopoli: il lancio delle monetine nei confronti dell’On. Bettino Craxi all’uscita dalla sua residenza romana dell’Hotel Raphael a Roma.
Bobo Craxi, secondo genito di Bettino, ricorda bene quell’episodio e, soprattutto, quel clima di odio nei confronti del padre.
Si dice, spesso e volentieri, che il tempo è medico. Sono passati trent’anni da quello che fu un vero e proprio linciaggio di un uomo politico davanti alla sua abitazione privata, caso credo unico nella storia democratica dell’Europa che conosciamo, almeno dell’Europa democratica. Fu considerato il primo vero atto di rottura populista e reazionaria, non fu un atto rivoluzionario come l’assalto alla Bastiglia o la presa del Palazzo d’inverno. Fu piuttosto uno squallido linciaggio e, dopo quella terribile giornata, chiaramente le cose cambiarono, non soltanto nel Paese, ma cambiarono per noi tutti. Avemmo, cioè, contezza di che razza di pericolo non solo correva lui ma correvamo noi tutti, essendosi ormai consolidato un clima di odio.
Un clima che non fu certo contrastato da alcuni partiti politici e giornali che, anzi, soprattutto in quel frangente, utilizzavano toni molto accessi e giustizialisti.
Quella folla urlante di fascisti, di militanti del Pds – reduci dal comizio di Occhetto – non era spontanea, era piuttosto una folla organizzata. D’altronde parliamo dell’aprile del ’93, ormai a più di un anno dall’inizio delle cosiddette inchieste di Mani pulite e dobbiamo considerare, guardando i fatti dell’epoca, che in quel periodo la furia giustizialista era quella che dominava il paese, che aveva di fatto estromesso il potere politico dalla guida ordinaria della nazione e lo aveva sostituito con una sorta di giunta militare che guidava il paese. I giornali, la grande stampa, la televisione, i gruppi industriali che erano riusciti a scampare ai fatti giudiziari si erano messi al servizio acritico nei confronti di questo potere dello stato. Il contesto di quel periodo storico era esattamente questo.
Eppure, nei fatti, il voto della Camera del 29 aprile sull’autorizzazione a procedere nei confronti di suo padre non fu proprio “un’assoluzione”, come scrissero diversi giornali.
Delle richieste ne furono respinte quattro su sei, al di là di quello che scrissero i giornali, non ci fu nessuna assoluzione. Fu interpretato questo come, diciamo così, un atto di resistenza estrema del mondo politico di fronte a quello che stava avvenendo. Inoltre, contestualmente, stava incominciando la discussione politica sul governo Ciampi che vedeva, per la prima volta, la partecipazione di un partito postcomunista all’interno dell’esecutivo. Erano stati già indicati dei ministri all’interno di quel governo e, quindi, coincisero queste due vicende. Probabilmente non fu un caso che quel voto, in qualche modo, determinò da un lato la caduta del governo Ciampi e, dall’altra, la definitiva caduta del Parlamento che si voleva completamente azzerare, aprendo le strade a quella che appariva comunque un’incognita di carattere politico.
Ci fu, in generale, una reazione popolare contro il sistema politico che andava in qualche modo spazzato via e, di conseguenza, dovevano essere compiuti degli atti simbolici che ne determinassero la scomparsa.
Esattamente. Tutto questo ha molto a che vedere con la violenza squadristica, la violenza di quel linguaggio ha generato, alla fine, altra violenza. Infatti, quando si recò da Giuliano Ferrara nella sua trasmissione “L’istruttoria”, mio padre ne fece un preciso riferimento, dicendo che “la violenza del linguaggio, dei comportamenti e dei giudizi è destinato a generare altra violenza, ed è il contrario di come deve vivere un Paese civile e democratico: considero la mia non una sconfitta politica ma un vero e proprio rogo.”
Che cosa è accaduto dopo quella sequela di fatti culminata con quell’episodio?
Sostanzialmente nulla, nel senso che questa sconfitta determinò, poi, la necessaria scelta per mio padre di lasciare il Paese. Mentre chi rimase, per trent’anni, si è bene guardato dal riflettere a ritroso, concentrandosi su quali follie furono commesse in quel periodo storico, con la scusa della pulizia sul finanziamento illegale alla politica, che come si sapeva – e si è detto – era una prassi in vigore nella seconda repubblica. Negli anni passati non c’è mai stato spazio per riflettere e per prendere le distanze.
Oggi però, diversi personaggi che allora avevano anche ruoli di primo piano, iniziano ad avere – perlomeno – ripensamenti. Che effetto le fa assistere, oggi, a queste potenziali crisi di coscienza?
Adesso, a trent’anni di distanza da quei fatti, sostanzialmente si affacciano un certo numero di pentiti, o di “dispiaciuti”, ma d’altronde non c’è più da pagare il dazio su una vicenda come questa. Soprattutto, coloro che oggi mostrano il volto benefico di chi esibisce una certa pietas nei confronti degli sconfitti, non è altro che il beneficiato principale di quello che è avvenuto a causa di questa rivoluzione giudiziaria.
Che significa beneficiato principale, quali furono i benefici?
Significa che alla fine della guerra fredda i protagonisti, gli alleati, gli eredi, gli epigoni dei totalitarismi fascista e comunista, furono con una parabola paradossale i protagonisti di questo trentennio. La seconda repubblica si è costruita sulla menzogna che non ha visto una nuova vera classe dirigente sostituirne una vecchia. Bensì una classe dirigente che, pur senza aver elettoralmente vinto le elezioni del ’92, peraltro rimasta fuori dal gioco politico e democratico, prendeva di fatto il potere. Così come alcuni settori ben introdotti, ben inseriti che navigavano e che hanno trovato fortuna nel periodo più fecondo dal punto di vista economico e della stabilità politica e sociale, molti gruppi industriali si trovarono – in qualche modo – ripuliti dalle loro compromissioni e si ripresentarono col volto di novità in una fase politica chiamata appunto della rivoluzione italiana, traendone vantaggio.
Da un po’ di tempo, però, la storia dell’ultima fase politica e di vita di Bettino Craxi, viene trattata in modo più oggettivo e trovano spazio, nell’opinione pubblica, diverse riflessioni che prima – forse – non trovavano spazio o non avevano il coraggio di cercarlo.
Per fortuna c’è chi da tempo ha avviato un’opera di scavo, di riflessione, ricostruzione, di conoscenza dei fatti che si allontana dalla vulgata comune, dal luogo comune, o – se vogliamo – dalla propaganda di regime che voleva che i giudici fossero senza macchia e senza paura e che avessero sgominato una classe dirigente dedita al latrocinio di stato. Ecco, questa versione di comodo, facile e propagandistica ha finito per lasciare il posto ad una capacità di analisi critica, che ha determinato una lettura se non nuova per lo meno diversa.
Per lei, per la sua famiglia, insomma per voi che avete raccolto l’eredità tutta di Bettino Craxi, quegli anni non sono stati semplici, maggiormente dopo la sua morte.
Per quanto mi riguarda quelle sono vicende dalle quali io ho cercato di tenermi lontano, non per vigliaccheria o per ipocrisia, ma perché penso che i fatti della storia, soprattutto quelli che coincidono con le vicende personali, determinino naturalmente considerazioni che non potrebbero in nessun modo essere considerate neutrali o, addirittura, non viziate da un atteggiamento di ostilità o da un atteggiamento pregiudizievole. Sappiamo bene quello che è accaduto e sappiamo quale è stata, in questi trent’anni, la nostra vita all’indomani di quelle vicende. Abbiamo cercato di sopravvivere con dignità, sapendo che in quel frangente avremmo potuto anche rischiare di perdere la nostra vita, perché questo era in realtà il portato di quella vicenda politica.
Una vicenda che fu notoriamente anche umana, oltre che giudiziaria e politica.
Non vi fu una dimensione giudiziaria ben ordinata in un rapporto di equità tra accusa e difesa, fra poteri che si contrastavano e che avevano, comunque, la possibilità di affrontarsi a viso aperto. Tutt’altro, fu una lotta impari nella quale c’era un potere, che aveva assunto uno strapotere, ed un altro – incarnato da mio padre – verso il quale non solo si è inteso svolgere un’azione di sottrazione del potere stesso ma, addirittura, si è cercato di calpestare la dignità umiliandolo in una condizione che ha poco a che vedere con la vita civile e democratica di uno dei più sviluppati e più ricchi Paesi del Continente Europeo.