Liberazione sì, ma non dalla memoria
La sfida, da qualche anno, è collegare i curricoli disciplinari con l’educazione civica: educazione civica e informatica; educazione civica e matematica; educazione civica e inglese. Nel nostro caso, educazione civica e italiano. Non due discipline diverse, ma la stessa, declinata secondo tematiche funzionali all’una e all’altra, senza sacrificare contenuti, conciliando gli obiettivi, condividendo ipotesi, premesse e traguardi.
Siamo nella settimana che precede l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, e ci impegniamo a ricordare ai nostri alunni che questa ricorrenza è una celebrazione, non una festa; che come tale, dunque, deve spingerci a riflettere, a ragionare su quanto la data del 25 aprile 1945 abbia modificato la storia del nostro Paese, e a ben guardare anche la nostra, incidendo profondamente sulle nostre abitudini, sulle nostre possibilità, sui nostri diritti, sul nostro modo di essere al mondo, sulla nostra libertà.
Celebrare un evento significa onorarne e rinnovarne la memoria, ed è questo, decidiamo, il filo da seguire, la traccia che nella lezione di oggi collega i due curricoli, il trait d’union tra l’ora di Italiano e quella, spesso bistrattata – nella corsa consueta ai programmi, che in questa fase dell’anno ci spezza il fiato – di “cittadinanza”, ancella delle ore ben più autorevoli, per il potere che hanno di determinare l’esito dell’anno scolastico.
Il filo, dicevamo, è la “memoria”, nella sua accezione semantica, se l’ora di Italiano deve necessariamente confrontarsi con lo studio delle parole, del loro significato, della loro evoluzione storico-sociale, della loro dimensione d’uso, del senso che esse rivestono nel presente della nostra comunicazione.
Che cos’è la memoria? Che cosa significa, dunque, fare memoria? Quali altre parole rientrano nello stesso orizzonte semantico? Quali verbi? E tali verbi come devono essere coniugati: al presente o al futuro?
Partiamo da qui, da questa tempesta di domande. Ci assale la sensazione, a volte, che i nostri quindicenni ragionino secondo un sistema binario – bene, male; bianco, nero; bello, brutto; acceso, spento – e spesso è proprio così, e dobbiamo ammettere che la colpa è da rintracciare, tra le altre, anche nella nostra attitudine a programmare lezioni e verifiche preconfezionate, a “risposta chiusa”, dove il ragionamento che conduce alla conclusione lo ha già portato avanti qualcun altro, e il loro contributo è la semplice ratifica della sua correttezza.
Piuttosto che semplificare, proviamo ad educare alla complessità invece. Invitiamoli a familiarizzare con una logica non manichea, che si apra alle sfumature, alle gradazioni di colore. La scelta del termine “memoria” è adatta, perché memoria è un termine complesso, denso, solido, foriero di un significato multiforme, che vale la pena negoziare.
La prima risposta, nella mia classe di un istituto tecnico informatico, ci viene dall’informatica, appunto. La memoria, per i miei nativi digitali, è un archivio: un collettore di file, di dati logicamente e cronologicamente collegati, che abbiamo accumulato nel tempo, nel passato dunque, e tra cui andiamo spesso a ripescare, se la memoria, negli esseri umani – ma guarda tu dove siamo arrivati – è costitutiva dell’identità.
Per qualcun altro, le poche e romantiche ragazze della suddetta classe, la memoria diventa così, attraversando per intero il ragionamento sull’identità, un “fantasma”: una specie di ombra inquietante che accompagna le nostre azioni del presente caricandole di passato, rendendole pesanti. Perché se è vero che siamo giovani, dicono, e abbiamo lo sguardo fisso sul presente, ci volgiamo continuamente verso il passato e lo proiettiamo nel futuro, che proviamo a prevedere e a decrittare proprio attraverso la memoria. Essa è anche lente, dunque, finestra sul passato e cannocchiale sul futuro.
Ecco cos’è la memoria, in conclusione. La possibilità di interpretare il passato, di consultarlo e interrogarlo, di poggiarvi ancora i piedi, non per lasciarci andare alla nostalgia, ma per capire il futuro e affrontarlo con responsabilità. Ed ecco a cosa serve celebrare la memoria del 25 aprile: a sapere da dove veniamo, e quale atroce tempesta abbiamo attraversato, e quale terribile mostro ci siamo lasciati alle spalle; e, naturalmente, a scoprire e a sapere sempre, come se avessimo una bussola, in quale direzione dobbiamo andare.