di Pippo Gallelli
Stanno per spegnersi i riflettori su Sanremo e (incrociando le dita per l’esito finale) possiamo già dire che questa edizione ha avuto, per noi calabresi, un sapore speciale: è stata quella di Brunori Sas e del suo brano L’albero delle noci. Un pezzo che porta con sé, innanzitutto, implicazioni intime. È il racconto di speranza e di amore di un padre, ma rischia di diventare molto di più: l’inno della restanza calabrese, di chi rifiuta la Calabria-cartolina e di chi non vuole fuggire, ma scegliere di restare.
Sono un umile cronista, e spero che il professor Vito Teti possa perdonarmi se mai mi leggerà, ma questo pezzo sembra incarnare perfettamente il concetto di restanza da lui coniato nella sua fortunata opera, e che così, da citazione testuale, si può riassumere: “sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente”.
Non è resilienza, né resistenza passiva, ma affermazione di vita e di senso. Restare non è nostalgia sterile, ma un atto di consapevolezza, un equilibrio tra disincanto e speranza.
L’affetto che ha sostenuto Brunori al festival è forse il piccolo cratere di un vulcano sotterraneo che cerca riferimenti (Vito Teti è uno di questi) e sbocchi per poter positivamente esplodere. È quello di una terra che, nelle sue parti migliori, è “come un canguro tra il passato e il futuro”, che non si accontenta di subire il proprio destino, ma lo affronta con la stessa ironia tagliente del suo cantautore, capace di mescolare tradizione e modernità. L’ironia di Brunori conquista perché è intelligente e rispettosa, a metà tra l’antico umorismo popolare e una raffinata genialità alla Woody Allen.
Non è facile raccontarla davvero, la Calabria. È “una terra crudele, dove la neve si mescola al miele e le persone buone portano in testa corone di spine”, una terra di contraddizioni e possibilità, sospesa tra resistenza e abbandono, inquietudine e indulgenza, ignavia e lotta. Una terra dove la bellezza dei paesaggi non basta a nascondere le difficoltà del vivere quotidiano, ma in cui chi resta non lo fa solo per rassegnazione, bensì per un ostinato senso di identità.
Una terra dove, per citare Brunori in una sua battuta, il capitalismo esasperato tarda ad affermarsi, semplicemente perché “ni sicca” (ci scoccia). Una battuta, certo, che però non cela lo storico rifiuto dell’edonismo, in una terra fatta di paesaggi silenziosi, di montagne e mari che raccontano storie antiche. Una bellezza che non si ostenta, ma che esige di essere ascoltata.
L’albero delle noci emoziona proprio per questo: può diventare il canto di chi ogni giorno sceglie di restare, non per eroismo, ma per fedeltà a un’idea di mondo.
Ed è in questa consapevolezza che si disegna un futuro possibile: uno in cui si guarda avanti senza dimenticare da dove si viene, senza rinnegare le proprie radici, ma trasformandole in forza. Perché la Calabria, per quanto imperfetta, è viva. E chi sa raccontarla – con ironia e dolcezza – le restituisce il posto che merita nel mondo.
E c’è ancora tempo per votare. Il televoto può trasformare questa partecipazione in un sogno meraviglioso, regalando a Brunori Sas un successo ancora più grande. Ma comunque vada, lo è già. Perché con la sua musica ha portato sul palco di Sanremo un pezzo di Calabria autentica, fatta di emozioni, radici e futuro. La Calabria della restanza.