Cultura

 “Di nuovo!” torna Stani Labonia

Retro Records ha appena pubblicato Di nuovo!, l’album del ritorno di Stani Labonia. I cultori della canzone d’autore anni ’70 ricorderanno che nel 1978 Stani Labonia, all’epoca non ancora impegnato nella carriera di docente universitario, debuttò con Amarsi, pubblicato dalla IT di Vincenzo Micocci e arricchito dalla partecipazione di Enzo Avitabile, Piero Gallo, Gianni Guarracino,  Jenny Sorrenti e il compianto Gaio Chiocchio.
A oltre quarant’anni da Amarsi, dopo la ristampa del cult-album nel 2022 e la tragica scomparsa del figlio Davide, Stani è tornato con il secondo disco Di nuovo!, nato da un insopprimibile esigenza terapeutica.
E’ stato prodotto dalla napoletana Retro Records (distr. Audioglobe), suonato con musicisti partenopei e con il produttore artistico Antonio Catalano.  Venerdì 18 ottobre uscirà in vinile.

Dopo 46 anni dal tuo debutto con Amarsi, che ricordiamo come un disco di culto, cosa ti ha spinto a tornare alla musica con Di nuovo?
La musica stessa. Il mio rapporto con la musica è assai particolare. Ho vissuto fino ad Amarsi, parlo del 1980, immerso nella musica. Poi un Blackout emozionale mi ha quasi fatto cancellare persino gli ascolti (forse perché gli anni ‘80 a mio avviso hanno prodotto musica meno appetibile di quella degli anni ‘60 e ‘70). Ho ricominciato ad ascoltare con attenzione solo dal 2000 in poi e da lì la passione ha covato sotto la cenere. Ma sicuramente l’evento che mi ha riportato a comporre nuovamente è stata la morte di mio figlio Davide, ottimo tastierista super cultore del rock progressivo. Attraverso la musica, tramite i tasti del mio Steinway digitale mi sono ricongiunto a lui, l’ho sentito vicino, ribellandomi all’atroce distacco. In questo senso il comporre musica ha svolto la funzione di ausilio terapeutico.

Hai collaborato con tanti nomi di punta, ricordiamo tra tutti quelli che andavano sotto il nome di Naples Power. Come te li ricordi quegli anni? In che modo la scena musicale di allora ha influenzato il tuo nuovo lavoro?
Sono stati anni di grande fermento ma a mio avviso anche anni in cui a Napoli sono maturate sensibilità diverse. Naples Power non era e non è un monolite. Per intenderci in alcuni erano vive le influenze californiane, in altri quelle anglosassoni, in altri quelle mediterranee. In quegli anni i miei riferimenti erano David Ackles, Tim Buckley e Dr. John, pensa un po’. A Napoli dominava soprattutto la voglia straordinaria di “uscire fuori” più che un ben definito stilema.

Per l’uscita del nuovo disco hai detto che “La musica è imprevedibile, anche violenta, irragionevole ed irrazionale.”. Cosa intendi esattamente con queste parole?
La musica è nel mondo e come avviene nel mondo ha molte anime che rivelano la complessità dei sentimenti e comportamenti umani dell’amore all’angoscia, dalla rabbia e dalla violenza alla dolcezza. Poi ci sono i generi commerciali quelli della Disco e quello dell’amore che fa rima con cuore. Ma anche questo riflette una parte del mondo reale ossia il bisogno di autoinganno e gli stereotipi dominanti.

Il tuo nuovo album tocca temi importanti come la vita, il cambiamento, la memoria e la morte. Quale di queste tematiche senti più vicina in questo momento della tua vita e perché?
Naturalmente tutte. In generale sono tematiche che ho sempre coltivato (erano presenti anche in Amarsi e nel 45 Paola6878). Tra i lavori di allora e questo sono mutate le formule espressive musicali più che il mood.

Hai selezionato sette canzoni tra una ventina di pezzi composti nell’ultimo biennio. Come hai scelto queste tracce e quale storia o emozione lega l’intero album?
Beh, la scelta dei brani è avvenuta per selezione naturale, direi. È una questione memetica. Non so se siamo noi a scegliere e a decidere o è il brano ad imporsi nella nostra mente.

Come percepisci il cambiamento dell’industria musicale dagli anni ‘70 ad oggi, soprattutto in un’epoca dominata dal digitale?
Sono un grande sostenitore del digitale; non capisco le guerre di religione in questo campo. Il digitale tra i molti meriti ha reso liquidi i consumi e avvicinato alla produzione tutti (si pensi al ruolo di Garage Band per quello che è relativo al fare musica o dello streaming per quel che concerne la sua diffusione). Anche se poi ho scelto il vinile, un supporto materiale, per Di nuovo! Ma il vinile non è mai morto. Da parte mia avevo bisogno forse di un richiamo alla continuità del mio contatto con la musica. A distanza di 45 anni è un modo per richiamare la simmetria e continuità delle due produzioni.

Come vedi il futuro della musica cantautorale?

Se andiamo alla radice del termine, cantautore indica semplicemente che qualcuno sente il bisogno di fare musica e di cantarsela. Essere cantautore è un po’ espressione narcisistica e un po’ una forma di ribellione all’indifferenza del mondo. Nasce dalla solitudine e dal bisogno di toccare i sentimenti dell’altro. Ovviamente i linguaggi musicali potranno cambiare ma non potrà venir meno la spinta cantautorale.

E il tuo futuro?
Vivo nel presente. In realtà il futuro non mi interessa sul piano individuale. Sono sempre stato animato da una grande curiosità per il futuro dell’uomo, della specie umana e della sua evoluzione tecnologica e culturale. Mi interessa solo il futuro che non vedrò e che non vedremo.