Valeria Caputo per questo suo terzo album, il primo in italiano e ancora una volta a cavallo tra generi,
ha messo in musica la sua indagine sul concetto di casa, tra migrazioni, ricerca di serenità, ecologia, coscienza critica e riflessione sul femminile. La denuncia contro l’inquinamento di Taranto e l’emergenza sanitaria in un lavoro denso che attraversa i generi, dall’alt-folk all’alternative.
Parto subito dal titolo del tuo nuovo lavoro, Habitat. Cosa significa casa per te Valeria?
Un domanda non semplice la tua. Per indagare questo concetto ho provato a elaborarlo come so fare, cioè attraverso la musica. Credo, però che il percorso sia iniziato allora e non si sia ancora concluso. Sto imparando, dunque, che ci sono diversi livelli di “casa” che contribuiscono ad una percezione personale. E’ anche vero che questa formulazione implica la presenza della comunità che è fondamentale per sentirsi a casa. Ovunque io abbia vissuto, incontrare persone che hanno fatto la differenza è stato fondamentale. Dunque, la casa è dove si può crescere e dove si può costruire. Per questo il mio rammarico è non aver trovato terreno fertile nella mia Taranto, una città tanto bella quanto minata da una serie di difficoltà che non sempre aiutano l’attecchimento.
La tua città natale è Taranto appunto, da quando sei bambina come hai vissuto la triste vicenda dell’Ilva?
Quando ero bambina non percepivo la presenza invadente della grande industria. Per me era del tutto normale vedere quello stabilimento sbuffare fumo ininterrottamente. Si conviveva con quel grande agglomerato di ciminiere che qualche volta sembrava una fabbrica di nuvole. La fantasia di un bambino riesce a trasformare mostri in grandi giganti mitologici. La nostra cultura era intrisa di realtà industriale. Già dalla scuola elementare ci informavano su cosa fosse un altoforno, ricordo che ci distribuivano dei libricini a fumetto in cui ci spiegavano come funzionasse il ciclo produttivo dell’acciaio.
Dunque, fino alla mia adolescenza sembrava tutto normale. Era anche meno noto il problema legato all’inquinamento, più attivo, invece, era il movimento sindacale per i diritti degli operai.
Quando sono diventata grandicella e ho potuto vedere il mondo fuori da Taranto, ho iniziato a prendere consapevolezza che ciò che avevo sempre reputato normale, ovvero un’industria a ridosso della città, fosse del tutto singolare. Una coscienza ecologista è maturata nel tempo anche a causa, purtroppo, di tanti decessi, primi gli operai dell’ex-Ilva e di tante persone a me care. Non si tratta di coincidenze ma di una correlazione scientificamente dimostrata dovuta al rilascio di sostanze cancerogene che sono state assimilate dal territorio e dai suoi abitanti. Taranto oggi è spaccata in due tra chi vuole la chiusura definitiva degli impianti obsoleti e impattanti e una successiva bonifica territoriale attraverso un re-impiego degli operai, e chi vuole la riconversione green per salvare i posti di lavoro e la competitività dell’industria, oggetto di una serie di decreti statali per il mantenimento della produzione dell’acciaio.
La tua canzone Taras è il tal senso un grido di vendetta, Chi è Celeste Fortunato?
Anche se ho lasciato Taranto da anni, questa coscienza ecologista è diventata sempre più presente proprio grazie alla vicinanza della mia amica speciale Celeste Fortunato, da anni impegnata attivamente per la difesa dei diritti alla salute dei tarantini, in primis dei bambini. Nel brano Taras si può ascoltare la sua voce registrata per la manifestazione Stop al Sacrificio di Taranto del 2022, un evento al quale Celeste non ha potuto partecipare a causa della malattia che, ahimè, l’ha colpita, la leucemia. Il suo discorso è così incisivo e mira al punto, è diretto, duro sì ma amorevole. Si rivolge ai suoi concittadini invitandoli ad una cittadinanza attiva mirata alla ripresa culturale, sociale e politica della città che è stata considerata dall’Onu “zona di sacrificio”.
Più che una vendetta forse parlerei di un grido di riscatto. Quando stavo lavorando al brano Celeste era ancora in vita, ascoltarlo le ha fatto specie…il free jazz e l’elettronica distorta del brano non erano certo il suo genere, ci ha tenuto comunque a ringraziarmi per averle dato spazio e invece sono io che devo ringraziarla per tutto il suo impegno sociale. Del brano Taras è stato poi realizzato il video di animazione per il lancio del disco avvenuto proprio la giornata mondiale dell’habitat che nel 2023 è caduta il 2 ottobre.
Ci tengo, infine, a dire che Celeste è stata anche scrittrice e negli ultimi due anni della sua esistenza si è occupata della realizzazione della sua ultima opera, i cui proventi andranno in beneficenza, il libro “All’alba della Primavera”. Storia di un’avventura oncologica” una testimonianza importante presente anche nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.
Ci sono molti sottotemi nelle tue canzoni che però hanno un unico tema, che è quello della casa traslato in molte delle sue forme. Come pensi si possa arrivare ad un’ecologia sociale che lasci da parte gli individualismi sterili?
Mi piace risponderti con una citazione del signor.G, Giorgio Gaber, che diceva: la libertà è partecipazione. Sono dell’opinione che la casa dovrebbe essere un luogo da costruire tutti insieme. La partecipazione alla vita comunitaria è fondamentale, ognuno di noi può fare la differenza in un paese democratico e dare il suo contributo. Res publica, cosa pubblica è la nostra casa. Quindi bando agli individualismi sterili, superare l’ostacolo rappresentato spesso dal nostro ego e partecipare attivamente, ognuno coi propri mezzi, anche solo informandosi più possibile. Nel mio piccolo anche io ho voluto dare il mio contributo affrontando certe tematiche socialmente impegnate come atto di sensibilizzazione attraverso il canale della musica.
Nel tuo album c’è posto anche e soprattutto per una riflessione sul femminile. Ce ne parli meglio?
In questo album c’è spazio anche per una riflessione sull’idea di corpo come nostro primo luogo da abitare. Ho voluto fare una immersione nel terreno femmineo per riallacciarmi alle mie radici sia biologiche che storiche, di donna che fa la musica. Ecco che sono nati brani come “La mia città che sull’acqua brucia” in cui tratto il tema della sterilità e “Mel” ispirato dalla compositrice francese tardo romantica Mélanie Bonis che si è servita dello pseudonimo Mel per confondere sulla sua identità di genere e sfuggire alla catalogazione che l’avrebbe certamente penalizzata, visti i tempi.
Parlaci anche dei tuoi compagni di viaggio, i musicisti che ti accompagnano
Questa produzione è stata resa possibile grazie al contributo di tantissimi ospiti, al supporto di professionisti al servizio della musica che hanno saputo dare il meglio di sé. In particolare tengo a ringraziare il mio amico, compositore Roberto Crudo che ha supervisionato e preso parte agli arrangiamenti di Mel e La mia città che sull’acqua brucia e che mi ha infuso molta fiducia durante la produzione dell’album.
La pre-produzione è avvenuta negli studi della Groovefarm di Nizza Monferrato e tutte le fasi successive presso lo studio forlivese L’Amor Mio Non Muore. Per saperne di più riguardo, invito i lettori a seguirmi sul profilo Instagram attraverso il quale ogni due settimane dedico un post a musicisti e collaboratori che hanno contribuito alla realizzazione di Habitat. Non ultimo, è importante citare la Ribéss Record, l’etichetta indipendente che ha reso possibile l’incisione dell’album su formato CD e vinile che è sempre stato il mio grande sogno.
Foto di Copertina di Dario Bonazza