“Israele, dal suo inizio, ci ha abituati a tali miracoli che noi speravamo potesse compiere il meglio, il solo vero miracolo, quello di stabilire una pace permanente con i propri vicini” scrisse Primo Levi, preoccupato, a una bibliotecaria tedesca, Hety Schmitt-Maas.
Era il 1967 e Levi torinese, ebreo, sopravvissuto all’Olocausto iniziava a dubitare della gestione politica di Israele.
Eppure lui a quel sogno ci aveva creduto. Aveva creduto a una terra promessa in cui la diaspora ebraica avrebbe vissuto in pace, costruendo una società modello, basata su uguaglianza, giustizia e lavoro.
Come è stato possibile che la terra promessa di quel sogno si sia trasformata in un’enorme base militare, dotata di armi sofisticatissime, dei più invasivi missili e completa di armi nucleari.
Come è stato possibile che la società israeliana si sia trasformata in una società guerriera, militarizzata. Una società in cui tutti imparano a usare le armi e a giocare alla guerra.
Come si fa a vivere in un paese in cui intere generazioni di ragazzi vengono allevati con i fucili tra le mani, da rivoltare verso i propri vicini. Un paese che si è auto ghettizzato da un fuori che viene percepito come terribile e minaccioso.
La paura di essere annientati ha trasformato le vittime in carnefici?
Come è possibile creare una dissociazione tale che la società civile israeliana non si ribella a questo gioco di sterminio.
Alcune voci di organizzazioni, giornalisti, intellettuali, ex-soldati israeliani, cercano di denunciare questa follia, ma l’occidente, l’Europa deve aiutarli. Bisogna sostenere i valori democratici fino in fondo.
Ma dov’è l’Europa democratica, l’Europa faro dei diritti umani e dov’è l’Italia?
Troppo pochi hanno il coraggio di gridare la follia di questo sterminio, e questa omertà è una follia ancora più grande.
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