Sabato sera. Mi fermo a cenare in un centro commerciale di Roma dopo una giornata impegnativa.
Scelgo un fast food, perché ho poco tempo e abbastanza fame. In realtà lo scelgo perché hanno il Sundae alla nutella, un gelato alla panna ricoperto di nutella e granella di nocciola. So già che lo mangerò, quindi condiziono la mia scelta. Sono le 22.30, il centro commerciale fra poco chiude, ma ancora c’è gente che circola, che cena, che ordina, che consuma. Il sottofondo è un misto di rumori e musiche diverse, di voci che si confondono tra loro, di posate che sbattono piatti, di bambini che giocano.
A un tavolo poco distante dal mio, quattro ragazzine si scambiano, divertite, il trucco prima di uscire. La commessa che mi passa il vassoio mi comunica, con un timido sorriso, di avermi dato una bibita grande anziché piccola come invece avevo ordinato: “non si preoccupi, ho sbagliato io”…si scusa.
Due tavoli più in là una famiglia ha appena finito di mangiare e si alza per andare via, uno dei due figli prende i vassoi e si dirige verso i cestini per andare a svuotarli. L’altro lo osserva per tutto il tragitto, poi accenna ad andargli in soccorso quando si accorge che il fratello non riesce ad aprire i cestini.
Una persona con disabilità sta cenando aiutata a bere da una ragazza, forse sua sorella o una sua amica, mentre chiacchierano e sorridono con spontanea normalità.
Intanto che scrivo mi attardo e non mi rendo conto di essere rimasto solo nel locale, quando i commessi hanno quasi finito le pulizie di fine giornata. Uno di loro si avvicina e mi chiede che ore sono, poi mi ringrazia: è il suo modo cortese di dirmi che deve pulire l’ultimo posto rimasto, quello che occupo nonostante il mio Sundae finito.
Mentre rientro una coppia meno giovane prova a fare un selfie con lo smartphone, ma non ci riesce e chiede ausilio ad un signore che passa, il quale non esita. All’uscita del centro commerciale, già addobbato a festa, due ragazze e i loro fidanzati, simpaticamente abbracciano un loro amico, “per non farlo sentire solo” sussurrano.
È il flebile segno della sopravvivenza di un briciolo di civiltà, che fatica a resistere.
Domani, 13 novembre, è la Giornata Mondiale della Gentilezza, promossa già nel 1998 dal World Kidness Movement, un gruppo di movimenti nazionali, celebrata in Italia dal 2000. L’obiettivo, ambizioso, è quello di sensibilizzare ad essere altruisti, a mettere al centro l’attenzione per gli altri. Ad avere – direbbe Aristotele – “la disponibilità verso qualcuno nel bisogno, non in cambio di nulla, né per il vantaggio dell’aiutante stesso, ma per quello della persona aiutata”. Essere gentili, per l’appunto, garbati, cordiali, cortesi. Un tempo la gentilezza era, per convenzione, un fatto di nobiltà, la cui presenza o assenza era determinata, cioè, dall’essere o meno nobili. Oggi, per fortuna, è un fatto di condotta, di educazione, di essere formati, cioè, alla disponibilità verso gli altri, cosa che dovrebbe contenere – in sé – tutto il valore del rispetto verso gli altri. E non è un fatto scontato.
“Al cor gentil rempaira sempre amore”!
Foto di copertina dal film “Luci della città”