«Che sia di duecento, trecento o mille anni la tua vita da questo vetusto palazzo sarai fatalmente cacciato. Il sultano e il medico del bazar: Tutti e due avranno un valore solo, alla fine.»
Questi versi appartengono al poeta persiano Omar Khayyam, vissuto tra l’XI e il XII secolo.
L’Iran vanta una storia plurimillenaria, un’eredità artistica e culturale di straordinaria ricchezza e bellezza, una lunga e nobile tradizione medica, astronomica, matematica e scientifica, eccellenti registi cinematografici (Marjane Satrapi e Jafar Panahi, giusto per citarne un paio).
A dispetto di questo patrimonio così cospicuo, però, l’idea che molti hanno dell’Iran è quella di un paese che non tiene in gran conto i diritti civili, in cui le donne subiscono violenze e discriminazioni, in cui sono negate le cure mediche ai detenuti e alle detenute, in cui delle ragazze sono picchiate fino alla morte perché non portano l’hijab. È notizia di questi giorni la morte di Armita Geravand, una ragazza di sedici anni, malmenata dagli agenti addetti alla sorveglianza della metropolitana, perché non indossava il velo. Le percosse ne hanno causato dapprima il coma e, quindi, dopo 28 giorni, la morte.
Questa penosa vicenda ricorda molto da vicino il caso di Mahsa Amini, la donna di 22 anni, pestata brutalmente dalla polizia morale di Teheran poiché non indossava correttamente l’hijab e spentasi pochi giorni dopo, il 16 settembre 2022. Storie come queste si ripetono, seguendo lo stesso macabro copione.
C’è Masooumeh di appena 14 anni anche lei colpevole di aver tolto il velo a scuola per manifestare solidarietà a Mahsa Amini. Ripresa dalle videocamere in classe è stata prelevata dalla polizia, stuprata ed è morta per una grave emorragia vaginale.
Ancora ricordiamo la sedicenne Nika Shahkarami rea di aver bruciato l’hijab in pubblico, davanti alla polizia: dopo qualche giorno è stato annunciato il suo decesso.
La violenza è il linguaggio utilizzato da chi non è in grado di usare le parole. L’intelligenza, la forza e la libertà di queste ragazze intimoriscono a tal punto da trovare come unica soluzione la loro eliminazione fisica.
Quattro, delle innumerevoli, donne vittime dell’ignoranza e del fanatismo. Martiri che con il loro coraggio testimoniano e indicano la strada che dovrà, inevitabilmente, condurre alla liberazione. La ribellione contro la sopraffazione e la prevaricazione, l’urgenza dell’affermazione della propria individualità e diversità, come un fiume in piena, alfine travolgeranno e cancelleranno l’intolleranza e l’oscurantismo.
Copertina di #eineBerlinerin