In questo momento, in cui nel mare Mediterraneo si allarga una nuova macchia rossa. In questo momento di guerra e di confusione, dove si è perso il controllo e non si sa dove questa nave di dolore possa portare.
In questo momento, voglio leggere, voglio studiare poeti e poetesse, scrittori e scrittrici, voglio vedere al di là del velo che, come un sudario, copre il dolore delle terre bagnate da questo mare.
In questo momento, ho bisogno di esempi di donne e uomini coraggiosi, che si sono esposti oltre le convenzioni, oltre il loro stesso limite.
Mi basta morire nella mia terra esservi sepolta
dissolvermi e annientarmi resuscitare erba in questa terra rinascere fiore
sfogliato da un bambino cresciuto nel mio paese
polvere
erba
fiore
Canta la celebre poetessa palestinese Fadwa Tuqan.
Fadwa muore nel 2003 a Nablus. Non so se oggi quel fiore riuscirà a fiorire. Non so se domani ci sarà un bambino che lo potrà cogliere.
La banalizzazione delle ideologie, a servizio dei poteri forti, rende ciechi gli animi. Soffia su questa spirale di violenza che si aggroviglia sempre più su se stessa. La memoria collettiva viene indossata a forza e uccide la memoria personale, la storia di ognuno di noi.
Cerco, navigo nel mare del web ed ecco lei, Ella Shohat, un’altra formidabile donna, una donna ebrea.
Spogliati della nostra storia, siamo stati costretti dalla nostra situazione senza uscita a reprimere la nostra nostalgia collettiva, almeno nella sfera pubblica. La nozione pervasiva di “un solo popolo” riunito nell’antica patria agisce incessantemente per rimuovere ogni dolce ricordo della vita prima di Israele. Non ci è mai stato permesso di piangere un trauma che, davanti alle immagini della distruzione dell’Iraq, in alcuni di noi si è intensificato e cristallizzato. La nostra creatività culturale in arabo, ebraico e aramaico è poco studiata nelle scuole israeliane, e sta diventando difficile convincere i nostri figli che esistevamo davvero laggiù e che alcuni di noi sono ancora lì in Iraq, in Marocco e nello Yemen.
Ella è figlia di ebrei iracheni emigrati negli anni ’50 in Israele, ed è un’ importante studiosa della cultura, dell’identità e della storia degli ebrei nelle terre arabe. Con un’analisi chiara e penetrante, Ella indaga il trauma dell’esilio della sua famiglia dall’Iraq, terra in cui avevano vissuto per generazioni e a cui sentivano di appartenere.
Lei rende testimonianza di un piccolo, ma importantissimo, tassello dell’incredibile mosaico di migrazioni che i popoli del mondo hanno sempre attuato.
E’ un mosaico che sfugge alla lettura superficiale, piatta e instupidita, della maggior parte dei media.
Ognuno di noi è unico e di difficile categorizzazione, ognuno di noi ha la sua storia personale che ha diritto di essere ascoltata e rispettata.