di Pippo Gallelli
Si è spento nella sua casa di Napoli il maestro Roberto De Simone, una delle figure più luminose e originali della cultura novecentesca italiana. Aveva 91 anni, e con lui se ne va un pezzo fondamentale dell’anima meridionale del Paese — quella profonda, arcaica, popolare — che De Simone ha saputo riscoprire, custodire e sublimare in arte.
Nato a Napoli nel 1933, è stato compositore, musicologo, drammaturgo, regista, uomo di teatro e di pensiero. Ma più di ogni altra cosa è stato un archeologo del sentimento collettivo: ha scavato nei riti, nei canti, nelle maschere e nei simboli delle tradizioni popolari del Sud, riportandoli alla luce non come relitti del passato, ma come tracce vive di un’identità culturale potente e universale. La sua opera ha trasformato il folklore in linguaggio colto, la memoria in teatro, la liturgia contadina in partitura d’autore.
Celeberrima la sua regia de La Gatta Cenerentola (1976), che segnò una rivoluzione nella scena teatrale italiana: una favola antica, riscritta in napoletano arcaico e musicata con le sonorità della tradizione partenopea, in una fusione perfetta di ricerca antropologica e creatività artistica. Quel lavoro è ancora oggi considerato una pietra miliare del teatro musicale europeo.
De Simone è stato anche fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare, con cui ha restituito dignità ai canti di lavoro, alle tammurriate, alle nenie religiose, ai suoni perduti delle feste contadine, rivalutando strumenti, dialetti, ritmi e forme espressive altrimenti condannati all’oblio. La sua visione era radicale: non una nostalgia folkloristica, ma un’urgenza culturale. Perché, come amava dire, “senza memoria non esiste futuro”.
Accademico e intellettuale rigoroso, ha saputo muoversi tra palcoscenici internazionali e feste popolari, tra le partiture di Pergolesi e i lamenti funebri della tradizione orale, costruendo un ponte tra alto e basso, tra erudizione e istinto, tra mito e quotidiano.
Oggi, mentre Napoli e l’Italia lo piangono, resta il suo lascito immenso: un patrimonio fatto di suoni, parole, gesti, racconti che parlano ancora — e forse più che mai — al nostro tempo. Perché l’opera di De Simone non è un canto del passato, ma una chiave per comprendere le radici profonde di un’identità collettiva.
Roberto De Simone ci lascia, ma le sue composizioni continuano a risuonare: tra le vie di Napoli, nelle aule dei conservatori, sulle tavole dei teatri, nei cuori di chi crede che la cultura popolare sia un tesoro da ascoltare, da studiare, da amare.
Fonte foto web