Società

Femminicidi: Sara e Ilaria ci gridano che nulla cambia. Perché stiamo fallendo?

di Pippo Gallelli

Messina e Roma, aprile 2025 – Due giovani vite spezzate nel giro di pochi giorni. Lunedì, Sara Campanella, 22 anni, è stata accoltellata e uccisa per strada a Messina dal suo persecutore di 27 anni. Mercoledì, poco fuori Roma, il corpo di Ilaria Sula, anche lei 22enne, è stato rinvenuto in una valigia: l’ex fidanzato 23enne ha confessato di averla uccisa a coltellate. Due storie tragicamente simili, due omicidi efferati che hanno scosso l’opinione pubblica e che si aggiungono a una triste teoria di delitti, praticamente quotidiana.

Le immagini di queste ragazze, così belle e piene di vita, sono intollerabili per la sensibilità di ognuno di noi. Ci interpellano nel profondo, ci costringono a interrogarci. Noi uomini, tutti, dobbiamo imparare ad ascoltare. Forse è proprio questo ciò che manca. Le iniziative simboliche – panchine rosse, giornate di sensibilizzazione – sono lodevoli, ma non bastano. C’è un tarlo che ha scavato nel profondo della nostra società, un problema culturale che non riusciamo a estirpare. Bisogna fermare questa “mattanza”, ma come?

Ancora una volta, giovani donne sono vittime di uomini incapaci di gestire un rifiuto o la fine di una relazione. La frequenza con cui simili episodi si ripetono è allarmante. Parole come “emergenza”, “allarme sociale”, “femminicidio” vengono ripetute senza sosta, ma le risposte concrete restano insufficienti.

Di fronte a questo strazio, sorge spontanea una domanda: cosa dobbiamo fare? Convegni, campagne e dichiarazioni di condanna non bastano. Serve un cambio di paradigma, un’azione incisiva che parta dalle radici della società. Occorre insegnare fin da giovani la gestione delle emozioni, il rispetto reciproco, la comunicazione non violenta. Una vera e propria “grammatica dei sentimenti”, da rendere materia scolastica per educare le nuove generazioni all’empatia e alla consapevolezza emotiva.

Non si tratta solo di prevenire il femminicidio, ma di costruire una cultura che riconosca e valorizzi il rispetto, l’amore sano e l’accettazione del rifiuto. Le relazioni non possono diventare gabbie, e l’affetto non può trasformarsi in possesso. È necessario fermarsi e riflettere seriamente: questa società è davvero capace di proteggere le donne e i giovani da un’onda social che esalta violenza e machismo?

Oggi, invece, sembra imporsi un modello che alimenta il machismo ( abbiamo illustri esempi oltreoceano), che rinnega ogni forma di inclusione e che sminuisce il valore stesso della vita. Se i risultati sono questi, allora sì, dobbiamo guardarci allo specchio e riscrivere un nuovo patto sociale.

Una società che non insegna a gestire le emozioni, che non valorizza l’educazione sentimentale e che non protegge i più deboli ha fallito. È tempo di agire, e farlo subito. Altrimenti, ogni parola resterà vuota e ogni vita spezzata sarà una sconfitta collettiva.

Queste cose ce le stiamo dicendo da troppo tempo, ma praticamente ogni giorno muore una donna per mano di un uomo. Questo non ci autorizza alla rassegnazione, ma perché non cambia nulla?