Economia

Un fisco più semplice ed equo: la sfida della riforma IRPEF

di Alessia Potecchi

Bisogna semplificare l’impianto e razionalizzare la struttura del prelievo fiscale. Questo è un tema importante e impegnativo. Non dimentichiamo che l’IRPEF nasce più di 50 anni fa. L’idea era quella di realizzare da parte dei proponenti, Visentini e Cosciani, una tassa da calcolare avente come base imponibile la totalità dei redditi di una persona su cui lo Stato avrebbe posto diverse e numerose aliquote creando una curva che aveva come principio la progressività. Allora il 65% dei redditi era dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, oggi per i cambiamenti intervenuti nell’economia italiana la situazione è molto diversa.

L’IRPEF originariamente era articolata con 32 aliquote differenti, che andavano dal 10% al 72%, oggi sono invece sono 3 e vanno dal 23% al 43%. L’originario impianto si è profondamente alterato nel corso degli anni, si è modificata la base imponibile soprattutto per i redditi da capitale e i redditi da affitti. Si sono introdotte altre tipologie di imposte spesso proporzionali e facilmente aggirabili con meccanismi elusivi come conseguenza di una politica troppo spesso clientelare. Per i lavoratori esiste nel nostro Paese il sistema del sostituto di imposta che prevede il pagamento delle tasse mese per mese con la ritenuta sulla retribuzione. Questo sistema è aggravato dalle addizionali all’IRPEF comunali e regionali quasi sempre proporzionali e non progressive. Insomma, il fisco italiano si basa soprattutto sulla tassazione proveniente dal lavoro e in maniera quasi esclusiva dal lavoro dipendente e dai pensionati.

Come suggerito più volte dalla Commissione europea, si dovrà in parte tentare di riequilibrare la tassazione tra lavoro e consumi per avvicinarci ai parametri europei da cui oggi siamo molto distanti. Questo farà aumentare il gettito complessiva dell’IVA e quindi bisogna regolare la tassazione con un meccanismo che distingua tra beni di primaria necessità e beni di lusso.

L’impianto generale è obsoleto, inefficace, iniquo. Le eccessive possibilità di deduzioni e detrazioni vanno riviste perché inserite in un contesto non sempre omogeneo che si è eccessivamente modificato nel corso degli anni. Gli ultimi dati ci parlano di 170 agevolazioni fiscali che nel loro insieme incidono per oltre 40 miliardi di euro sul gettito IRPEF. Questa operazione di razionalizzazione, di trasparenza e di semplificazione potrà permettere di recuperare gettito da utilizzare per la riduzione delle aliquote IRPEF. In questo ambito c’è da riesaminare anche la tassazione sugli immobili.

Bisogna affrontare la questione dei redditi da lavoro come base per la tassazione. Come dicevo prima, fino agli anni ‘80 del secolo scorso la quota dei redditi da lavoro rispetto al Pil si aggirava intorno al 65% e più. Oggi è scesa in molti Paesi, Italia inclusa. I sistemi fiscali disegnati dopo la fine della seconda guerra mondiale facevano affidamento per il finanziamento della spesa pubblica soprattutto su imposte e contributi sociali sui redditi da lavoro.

Il rapporto tra prelievi sul lavoro e prelievi sugli altri redditi (profitti, interessi, rendite.) risulta di 3 a 1, rispetto a una ripartizione del reddito di 47% a 53%. Questa tendenza tende ad ampliarsi, deve essere corretta perché tutti devono concorrere e la progressività deve essere rispettata.

La riforma fiscale è centrale per la vita di un Paese, ma non può essere calata dall’alto. Nessuno può indicare una soluzione senza un vero confronto e la collaborazione di chi deve aiutare a realizzare un fisco moderno, progressivo ed equo. La riforma deve essere strutturale e riguardare la rimodulazione, anche graduale, degli scaglioni. Questo affinché tutti i redditi soggetti all’imposta, nessuno escluso, ne possano usufruire. Inoltre, con una riduzione dell’IRPEF, il beneficio coinvolgerà le famiglie, i dipendenti, i pensionati, le imprese ed i professionisti senza dover scegliere un settore ed escluderne altri.