Politica

Quasi quasi, un bivacco di manipoli


Di Michele Petrocelli


Di carne al fuoco tra fatti e misfatti di politica interna e internazionale ce n’è cosi tanta che ci vorrebbero fiumi d’inchiostro per descrivere tutto. Non è nostro intento, però tediare i lettori con la vacuità e la mancanza di contenuti di sicuro intellettuali ma soprattutto etici e morali. Se alla fine degli anni Novanta del secolo scorso si parlava e si manifestava a gran voce contro il tentativo di appiattimento delle coscienze indirizzate al cosiddetto pensiero unico, ecco, quell’abbandono, quel cedimento culturale, per qualche tempo contrastato, è oggi la realtà. Esempi ne sono le azioni, apparentemente banali di chi ci governa, per quanto riguarda la politica interna, e il baratro in cui stanno sprofondando gli Stati Uniti, fino a qualche anno addietro modello di democrazia, oggi Paese governato da plutocrati per giunta segnati da un tasso d’ignoranza senza eguali. Sorvolando su quanto accade dal 20 gennaio negli Usa con conseguenze gravi per tutto il pianeta, ci sorge l’obbligo di soffermarci sulle nostre, misere, questioni italiche. Possiamo rilevare, ormai, un Paese allo sbando con un governo caratterizzato da forti interessi interni sempre meno anzi, del tutto privo di quel senso dello Stato che porterebbe a operare per il cosiddetto bene comune. Una presidente del consiglio sfuggevole e codarda quando si tratta di dire le cose come stanno: il lavoro sempre più precario, gli stipendi non in linea con la crescita dei prezzi, lo sfascio della sanità pubblica, solo per citare alcune delle cose che in Italia sono ormai in caduta libera. Una presidente del consiglio vivace, battagliera e aggiungerei, con piglio fascista, quando si tratta di costruire ad arte notizie e distorsioni come quella di ieri alla Camera dei Deputati dove ha avuto l’arroganza di definire dei veri patrioti come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni quali pericolosi terroristi rivoluzionari. Se non avesse terminato il suo intervento con la denigrazione del concetto di Europa, ero pronto con il taccuino e la penna per prendere appunti sul prosieguo del suo intervento. Ero pronto a frasi del tipo: “Sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle camice nere inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio della Nazione”. Per poi concludere: “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Cara Giorgia Meloni, operare da presidente del consiglio non significa diventare uno statista. Per quello ci vuole stoffa e soprattutto coraggio anche se, pur con grande sforzo si potrebbe riconoscerne la stoffa, il coraggio è mancato anche al suo faro e ispiratore ideologico.

Fonte foto: ANSA