Il 25 e il 26 marzo il Teatro Vascello di Roma accoglierà un evento straordinario: il debutto di Erodiade di Giovanni Testori, con la regia di Marco Carniti e l’interpretazione di una delle più grandi attrici italiane, Francesca Benedetti. Due serate speciali per celebrare la carriera di una fuoriclasse del teatro, insignita del Premio Flaiano 2024, e musa dello stesso Testori, che nel 1974, le cucì addosso il Macbett.
Con Erodiade, Testori ribalta rispetto alla tradizione biblica la narrazione tradizionale del mito scoprendo il lato ambiguo e fluido della sua virilità. E con la regia di Carniti oggi Erodiade si fa vittima più che carnefice.
In questo testo, amore e orrore, fede e desiderio, sacro e profano si intrecciano in un linguaggio potente e viscerale, che Benedetti porta in scena con un’intensità unica, seduta su un trono rosso sangue, simbolo di un potere e di una passione che divorano l’anima.
Francesca Benedetti affronta questo testo con la forza interpretativa che da sempre la contraddistingue, incarnando un personaggio che è metà donna e metà dio, vittima e carnefice, nel solco della radicalità testoriana, che da sempre sfida convenzioni e dogmi.
In questa intervista, l’attrice racconta il suo rapporto con Testori, la sfida di portare in scena Erodiade e il suo sguardo sul teatro di oggi.
In che modo la regia di Marco Carniti tratta il testo di Testori?
Il tono alto oratoriale sublime è stato preservato, come l’espressività materica piena di carne di umori e di sangue, di una lingua parzialmente inventata o fatta rinascere dalle ombre dei tempi e dei deserti. Marco ha voluto infarcirla di espressioni tratte dall’edizioni in corrotto dialetto milanese, il che rende tutto più plasticamente violento e doloroso.
Testori aveva un linguaggio potente, viscerale, che sfida attori e pubblico. Come si è rapportata con la sua scrittura in questo spettacolo?
L’incontro con Testori, Andree Shamma e Franco Parenti ha dato luogo ad una rivoluzione teatrale, ha fissato nuovi parametri, molto più decisivi di tanti altri avvenimenti più celebrati. Da lì parte il grande amore reciproco fra me ed un mostro del 900’, Giovanni Testori. L’irruenza con cui mi ha penetrato è pari alla devozione che io ho per lui.
Lei è stata musa di Testori. Qual è il ricordo più forte che ha del suo rapporto con lui?
I rapporti sono per fortuna certificati ed illustrati da una serie di foto amorosissime conservate in casa Testori, dove due esseri umani, Giovanni ed io, si compenetrano e si perfezionano di fronte alle scandalosissime e meravigliose immagini dei suoi quadri violenti e pietosi.
C’è qualcosa di Testori, della sua scrittura o della sua visione teatrale, che sente particolarmente attuale oggi?
La grande poesia è fatta di inattualità e da questo è destinata, soprattutto ora, che i gazzettieri e le gazzettiere hanno usurpato l’aria, spesso inquinandola. Inutili appendici dell’aria, come diceva Carmelo Bene.
La sua carriera è costellata di ruoli straordinari. C’è un personaggio, tra quelli che ha interpretato, che sente più vicino a sé?
Forse la Gerda di Strindberg che ha segnato un altro incontro miracoloso, quello con Strehler. E forse il ruolo maschile di Tiresia con la regia del grande Tiezzi.
Lei è un’icona del teatro italiano. Cosa direbbe oggi a un giovane attore o attrice che vuole intraprendere questa strada?
Lavoro, lavoro, lavoro
Che rapporto ha con il pubblico di oggi? Pensa che sia cambiato rispetto agli inizi della sua carriera?
Io trovo sempre la stessa anima profonda e la stessa sete di sapere.