di Sylvie Freddi
“Non sono antisemita ma un aspirante ebreo” ha detto Elon Musk dopo la visita di Gennaio al campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, dove 1,1 milioni di persone sono state uccise durante la Seconda guerra mondiale.
Ma la saga delle dichiarazioni schizofreniche di Musk hanno una raggiunto l’apice quando giorni fa ha condiviso sul suo account di X un post che scagionava il trio di genocidari per eccellenza, Hitler, Stalin e Mao, da atti di genocidio.
Ovviamente dopo qualche ora ha dovuto cancellare il post.
Elon Musk fa fatica a districarsi in questo intreccio di impulsi razzisti, desiderio di glorie dittatoriali naziste e necessità di tenersi buoni i pochi alleati come il governo di Israele.
Elon ambisce a essere l’uomo del futuro, ma il suo problema è la cultura sudafricana da apartheid che fin da piccolissimo gli ha formattato irreversibilmente le cellule neuronali.
Figlio di un padre pare violento e anaffettivo, con cui ha convissuto dopo il divorzio dei genitori, ha frequentato scuole private sudafricane dove la cultura della supremazia bianca era di casa.
A diciotto anni decide di raggiungere la madre e parte in America dove, grazie alla sua facilità di guardare al futuro unita alla voglia di scalare il mondo, riesce a fondare le sue importanti società tecnologiche.
Ma il nuovo potente ruolo nel governo USA ha resuscitato l’imprinting dell’educazione subita in casa e a scuola. Così non riesce più a contenere la sensibilità da suprematista bianco che fuoriesce in maniera prepotente.
Oggi è il re degli oligarchi tecnologici, ma la sua aggressività e le sue inopportune dichiarazioni gli stanno già costando enormemente in termini economici e di popolarità. La sua caduta rischia di essere rapida quanto la sua ascesa.