di Laura Iannuzzi
Ė un giorno qualunque. Entro in classe ed E. si avvicina alla cattedra. Ė impaziente di rivelare a me, insegnante di storia alle medie, come il compagno L. abbia intasato, la sera prima, la chat di classe con immagini che ritraggono uomini in pose rampanti, col braccio steso, ritto in avanti, il palmo della mano rigido con le dita allineate, intenti a salutare “alla maniera romana”.
Sento subito l’esigenza di far chiarezza: è forte il mio rispetto verso l’antichità romana, la cui storia è stata spesso violentata dalla retorica fascista e non solo.
Già il poeta Gabriele D’Annunzio aveva imposto ai legionari dell’impresa fiumana un marmoreo saluto in uso – a suo dire – presso gli antichi eserciti romani. Ma il poeta si sa, da esteta e amante delle azioni “imaginifiche” qual era, prendeva e rielaborava dalle civiltà passate elementi utili ad affermare le gloriose origini del popolo italiano negli anni del nazionalismo e dell’imperialismo. Un memento, insomma, tutto personale.
Eppure non c’è traccia evidente nell’antichità di quell’eccentrico “saluto romano”. Tale convinzione è piuttosto il frutto di un revisionismo ideologico operato sulla Storia in epoca fascista, quando il duce arraffa quanto possa essergli utile a testimoniare i successi del popolo italiano sin dai suoi progenitori romani.
Nessuna traccia di saluti “alla romana” nelle statue, nelle monete, nei bassorilievi o nei manuali di oratoria, vanto delle nostre italiche origini. Nell’ Augusto di Prima Porta, custodito ai Musei Vaticani, ad esempio, Ottaviano è raffigurato ritto e imponente, con il braccio destro in alto e la mano che sembra muoversi come ad attirare l’attenzione: è la posa dell’adlocutio, quella con cui il comandante incitava l’esercito schierato alla battaglia. Nessuna traccia neanche nella monumentale statua di Marco Aurelio esposta ai Musei Capitolini, dove un altro imperatore è immortalato a cavallo nell’atto di salutare, ma il braccio non è steso e le dita della mano protesa non sono unite rigidamente. E che dire delle immagini effigiate sui bassorilievi della Colonna Traiana? Quest’ultima, pur rappresentando la quintessenza dell’arte celebrativa romana, non ritrae nulla di simile, né da parte di Traiano né da parte dei Daci. Ciò che invece appare è qualcosa di più simile ad un gesto di benedizione rivolto alla folla o un generico segno che si compie per richiamare l’esercito all’attenzione e al raccoglimento.
“Gli esperti non consentono alla mano di essere elevata al di sopra del livello degli occhi o abbassata al di sotto del ventre”, recita l’Institutio Oratoria di Quintiliano, a proposito delle posture che si addicono all’ oratore. Insomma, il saluto nei reparti militari o nei contesti pubblici è dovuto, ma il braccio deve restare rilassato.
E allora perché tanta confusione? Forse perché nell’era dei vari Elon Musk la fantasia che distorce la realtà fa parlare di sé in pompa magna, più della realtà nuda e cruda che procede senza clamori. E allora forse un dovere morale noi adulti lo abbiamo: al di là delle ideologie estremiste che sempre serpeggiano, nascostamente ma sempre in agguato, subdole e mai veramente superate, dobbiamo raccontare la verità, dobbiamo fare chiarezza, dobbiamo evitare le contaminazioni tra la gloria passata e lo squallore del presente, restituendo autenticità alle cose e agli eventi.
L’attrazione per la retorica, esile, vuota ma pericolosamente potente, rischia di fagocitare le giovani generazioni se lasciate in balìa di messaggi di facile consumo sui social, di video accessibili nel tempo di un click che, anziché generare indignazione, divengono tutorial per nuove camice nere in erba. E così, nel mondo del web dove tutto è per tutti e a costo zero, le immagini si trasformano in istigazione all’onnipotenza e al dominio, anestetico rassicurante per menti ancora immature, brillanti ma infragilite da un’ acritica sovresposizione alle informazioni. Non era molto diverso ai tempi del Millenarismo medievale, quando i suggestivi Trionfi della Morte minacciavano l’Inferno e piegavano le coscienze alla volontà ecclesiastica o, per restare in tema, quando nell’epoca dei totalitarismi, nello sbandamento post-bellico la società necessitava di un nuovo “risorgimento” e giovani e vecchi divenivano facile preda di chi prometteva loro, sotto il mito della forza e violenza, “pane e lavoro”. Historia magistra vitae?
Intanto all’alunno L., che mostra curiosità verso le pose “romane” interpretate da invincibili signori in camicia nera, racconto ciò di cui sopra e nella mia mente subito risuona il verso di una vecchia canzone “sembran tori, ma son buoi” (Se non li conoscete, Fausto Amodei, 1972).