Politica

Trump vuole Gazaland e mette a rischio la pace

di Pippo Gallelli

“Prenderemo il controllo a lungo termine di Gaza per portare stabilità nel Medio Oriente. Gaza sarà la Riviera del Medio Oriente.” Con questa visione a dir poco fantasiosa, Donald Trump ha scatenato una bufera politica durante una conferenza stampa con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il presidente statunitense ha immaginato un futuro paradiso turistico per la Striscia di Gaza, ignorando il dramma di un territorio segnato da decenni di conflitti e sofferenze.

Come se non bastasse, Trump ha invitato i palestinesi “a lasciare Gaza e vivere altrove in pace”, una proposta che ha immediatamente infiammato le reazioni internazionali. Netanyahu ha rincarato la dose, dichiarando che “Israele finirà la guerra vincendola” e che tale vittoria sarà anche una vittoria per gli Stati Uniti.

Le repliche non si sono fatte attendere. Sami Abu Zuhri, funzionario di Hamas, ha bollato le parole di Trump come “ridicole e assurde”, sottolineando il rischio di nuove escalation nella regione. Anche il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha respinto categoricamente il piano, ribadendo che la leadership palestinese non permetterà mai “l’occupazione di Gaza né il trasferimento forzato del suo popolo”.

Dura anche la posizione dell’Arabia Saudita. “Non ci sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale”, ha dichiarato il ministro degli Esteri saudita, confermando la linea ferma del regno.

Sul fronte diplomatico, l’ambasciatore palestinese a Mosca, Abdel Hafez Nofal, ha annunciato una conferenza internazionale sul Medio Oriente che si terrà a giugno a New York. “È necessario non solo fermare questa guerra, ma fermare la guerra in generale”, ha affermato, ribadendo la necessità di una soluzione basata su due Stati, principio sostenuto da molti Paesi, compresa la Russia.

Le dichiarazioni di Trump, che banalizzano questioni politiche e umanitarie estremamente complesse, rischiano di compromettere ogni sforzo di pacificazione. Una visione surreale che, anziché costruire ponti, potrebbe far esplodere nuove tensioni in un’area già martoriata.