di Pippo Gallelli
Mentre un altro anno di guerra volge al termine, le apparizioni mediatiche di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky assumono la dimensione di un gioco delle parti, un duello tra due narrazioni contrapposte che delineano la complessità del conflitto in Ucraina in un momento che appare decisivo per la sua risoluzione. Da un lato, il presidente russo si presenta come il regista di una strategia che si avvicina ai suoi obiettivi prioritari; dall’altro, il leader ucraino rilancia l’immagine di un popolo oppresso ma risoluto, con un richiamo alla solidarietà occidentale per resistere all’aggressione.
Nella sua conferenza stampa di fine anno, Vladimir Putin ha messo in scena un discorso che oscillava tra apertura diplomatica e sfida tecnologica. Da un lato, si è detto pronto a negoziare con Kiev, a patto che gli ucraini dimostrino disponibilità al compromesso: “La politica è l’arte del compromesso e i negoziati sono un compromesso”. Un’apertura apparente, subito bilanciata dalla delegittimazione delle attuali autorità ucraine, giudicate non idonee a firmare accordi di pace.
Parallelamente, Putin ha spostato l’attenzione sulla potenza militare russa, sfidando gli Stati Uniti a un “duello tecnologico” con il missile ipersonico Oreshnik, vantato per la sua presunta invulnerabilità alle difese aeree occidentali. “Vorremmo davvero fare questo esperimento”, ha affermato, suggerendo un possibile bersaglio a Kiev, in un’eco retorica che mescola provocazione e intimidazione.
In un contesto più ampio, il presidente russo ha rivendicato il successo delle operazioni in Siria e la capacità della Russia di mantenere rapporti con tutte le parti coinvolte, sottolineando il ruolo di mediatore globale. Tuttavia, l’ombra dell’attentato al generale Igor Kirillov ha rivelato fragilità interne ai servizi speciali russi, un’ammissione di vulnerabilità che stride con la narrazione di forza monolitica.
Sul fronte opposto, Volodymyr Zelensky, da Bruxelles, ha utilizzato i media per contrattaccare sul piano morale e diplomatico. Ha definito Putin “il vero nazista di oggi”, accusandolo di vivere in una bolla e di perseguire un disegno di oppressione volto a privare l’Ucraina della propria indipendenza. Zelensky ha parlato con toni emotivi, sottolineando il carattere esistenziale della resistenza ucraina: “Putin è pericoloso per tutti. Penso che sia pazzo, e anche lui sa di esserlo”.
L’incontro con i leader europei e la volontà di dialogo con Donald Trump si inseriscono in una strategia volta a rafforzare il sostegno occidentale. Zelensky ha espresso speranza in un’unità tra Stati Uniti ed Europa, ribadendo che solo un fronte compatto può fermare la guerra: “Trump è una persona forte; è importante che sia dalla nostra parte”.
In questo scambio di accuse e proposte, l’Occidente continua a giocare un ruolo decisivo. Il Regno Unito, con un pacchetto di aiuti militari da 225 milioni di sterline, tra cui droni e sistemi di difesa aerea, si schiera apertamente con Kiev, intensificando il sostegno per il 2025. Questo impegno evidenzia la volontà di mantenere alta la pressione su Mosca, ma al contempo alimenta il clima di escalation, allontanando prospettive di negoziati concreti.
Putin e Zelensky appaiono come due attori principali su un palcoscenico internazionale, ciascuno impegnato a consolidare il proprio racconto. Da un lato, la Russia cerca di proiettare un’immagine di forza e inevitabilità; dall’altro, l’Ucraina invoca solidarietà globale per resistere e difendere la propria identità.
Resta da vedere quale di queste narrazioni riuscirà a prevalere, ma una cosa è certa: il gioco delle parti è lungi dal concludersi. I prossimi mesi si preannunciano cruciali per il futuro di un incubo bellico che sembra non aver fine e che ha provocato più di un milione di morti.