di Rocco Pio Carriero
Qualche sera fa, leggendo alcune notizie, mi sono imbattuto in questa meravigliosa frase di Alfred Hitchcock, noto regista britannico: Il cinema è il “come”, non il “cosa”. La mia mente istantaneamente mi ha riportato indietro di qualche giorno e, più precisamente, alla visione del film “Parthenope” di Paolo Sorrentino. Quest’ultimo infatti si distingue per il suo stile narrativo singolare dove estetica, riflessione sociale e narrazione trovano una sintesi perfetta.
Un film che io sintetizzerei come “delicatamente complesso” dato che la varietà di temi e la loro immensa profondità non consente una riflessione superficiale, bensì un approccio strutturale e stratificato così come la trama.
È l’esaltazione di Napoli attraverso la storia di una sua “figlia”, Parthenope, il cui nome rievoca il mito della nascita della medesima città narrato nell’Odissea. E come il personaggio epico, anche la protagonista è segnata da un rapporto particolare con la città e i suoi elementi rappresentativi.
Tra questi non posso non citare l’acqua che compare sin dall’inizio e costituisce uno dei fili conduttori della storia. I suggestivi vicoli, i palazzi nobiliari e le aule accademiche mostrano l’effervescenza della città in tutti i suoi aspetti, positivi e non.
Parthenope è una ragazza che ama e che sa essere amata, mantenendo una compostezza ed una impenetrabilità nel corso di tutta la sua vita. Non è solo la sua bellezza impareggiabile ad ammaliare uomini e donne ma anche il suo amore per il sapere. È ancora agli inizi del suo percorso accademico quando inizia ad interrogarsi su alcune grandi questioni legate all’antropologia.
Questa è una qualità che la accompagnerà durante tutta la storia, emergendo sia nei momenti positivi che in quelli più dolorosi, come quando cercherà di dare una difficile risposta all’evento che ha segnato la sua giovinezza: la morte del fratello Raimondo.
Si potrebbe dire che lei risponde al prototipo di vita di una qualsiasi ragazza del suo tempo: ci sono i momenti di studio alternati a momenti di svago, le amicizie storiche e le vacanze al mare, la sana spensieratezza giovanile.
Il film ha scaturito in me delle riflessioni anche sul modello generazionale di cui fa parte Parthenope e di cui, a distanza di anni faccio parte anch’io. Ci sono spaccati di vita accademica e politica che restituiscono l’immagine di una società dove il dialogo e la partecipazione alla vita pubblica del Paese erano fattori di crescita umana e culturale. Oggi c’è scarso interesse verso la “Res pubblica” e una grande disaffezione ai problemi di attualità.
Il tempo della storia si snoda in suggestivi luoghi-simbolo del capoluogo campano con un piacevole spaccato anche dell’isola di Capri. Sorrentino prova a rendere partecipe l’osservatore dell’atmosfera che si respira in questi luoghi e, a mio modesto parere, ci riesce alla grande. Ritengo anche cambiato il ruolo di Napoli nella storia, da semplice sfondo emotivo in “È stata la mano di Dio” a protagonista assoluta che modella la vita e le storie dei suoi abitanti.