di Annalisa Nicastro
Per ogni giorno, per il 25 Novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Non sapevano quando il muro fosse stato costruito. Forse era sempre stato lì, un’ombra che si allungava sulla pelle e sul respiro, un confine invisibile che diceva: “Fermati. Qui non puoi andare oltre.”
Dietro quel muro c’erano loro, le donne che avevano imparato a piegarsi per non spezzarsi. Camminavano a piccoli passi, con il corpo curvo dal peso di troppe mani, di troppe parole che mordevano più dei pugni. Non parlavano di ciò che accadeva, perché non c’era nessuno ad ascoltare. Le avevano chiamate pazze, colpevoli, difficili. A volte si chiamavano così da sole, sussurrandolo al buio.
Poi, un giorno, arrivò una ragazza che nessuno conosceva. Aveva il viso segnato, ma negli occhi portava una luce che sembrava una sfida. Quando vide il muro, si fermò. Le altre donne la guardarono con la stanchezza di chi aveva smesso di sperare.
“Non si può abbattere,” le dissero.
Lei non rispose. Alzò una mano e toccò il muro. Non era freddo come pensava: era caldo, pulsante, vivo. Ogni pietra sembrava trattenere un grido, una lacrima, un silenzio imposto. Sentì il suo respiro farsi corto, ma non si ritrasse. Invece, con tutta la forza che aveva, alzò il pugno e lo colpì.
Il suono del colpo si propagò come un’eco in una caverna. Nessuno si mosse. La ragazza colpì ancora, e ancora, fino a quando una crepa sottile si disegnò sulla superficie del muro. Le donne dietro di lei rimasero immobili, i loro occhi divisi tra il timore e la meraviglia.
Poi accadde qualcosa. Una donna, la più anziana, si avvicinò. Non disse nulla, ma alzò la mano e colpì accanto alla ragazza. Poi un’altra, e un’altra ancora. Le mani si moltiplicarono, le crepe si allargarono, e in pochi istanti il muro si riempì di suoni che non erano più pugni, ma grida: grida di rabbia, di dolore, di libertà.
Quando il muro finalmente cadde, non ci fu polvere né macerie. Al suo posto c’era un’apertura, un passaggio verso un mondo che nessuna di loro aveva mai visto. Il sole filtrava attraverso l’aria pulita, scaldando i loro visi come un abbraccio dimenticato.
Le donne si guardarono, e per la prima volta non abbassarono lo sguardo.
“Possiamo andare,” disse la ragazza. La sua voce non tremava.
Una a una, iniziarono a camminare oltre il confine che le aveva tenute prigioniere. Alcune portavano ancora addosso le ferite, altre zoppicavano, ma nessuna si voltò indietro.
Dietro di loro, le pietre del muro si sciolsero come sabbia nel vento. Non sarebbe mai più stato ricostruito. E ogni passo che facevano verso quella luce era un giuramento: mai più.
Quel giorno non fu un’epifania. Non ci furono applausi né promesse facili. Ma fu l’inizio di un cammino. Le donne non chiedevano di essere salvate. Avevano salvato se stesse. E questo, lo sapevano, era solo il primo passo verso un mondo che avrebbero finalmente chiamato casa.