Società

PROSEGUE LA DIASPORA DEGLI ITALIANI

Si è svolto a Roma, il 4 novembre, presso la Camera dei Deputati, Sala Matteotti, il Convegno su Crisi demografica, Spopolamento, Politiche migratorie promosso dall’on. Fabio Porta (Pd, circoscrizione Estero-ripartizione America Meridionale) in collaborazione con il “Comitato 11 Ottobre” di iniziativa per gli italiani nel mondo. Il dibattito è stato un’occasione di confronto tra esperti di varia estrazione sul grave problema della crisi demografica che colpisce il nostro Paese nel suo più profondo tessuto socio-economico e culturale.

Il problema dello spopolamento in Italia è esploso solo di recente in maniera drammatica, con una popolazione che è scesa sotto la soglia psicologica dei 60 milioni di abitanti in un Paese che, se si fossero mantenute le tendenze del Dopoguerra, oggi avrebbe dovuto averne almeno il doppio. Purtroppo le istituzioni si sono accorte in ritardo della gravità della situazione, gli interventi sarebbero stati necessari già 30 anni fa, come ha sottolineato Alfonso Giordano, professore di demografia politica della Luiss.

L’On.Fabio Porta, dopo aver introdotto i lavori soffermandosi in particolare sulla sua proposta di legge di semplificazione amministrativa per l’ingresso degli italo discendenti e degli italici nel nostro Paese, ha annunciato che il Parlamento ha deciso di istituire una commissione sul problema del ripopolamento di cui farà parte lui stesso con il collega Toni Ricciardi. Quest’ultimo, da storico oltre che da politico, si è soffermato a sua volta sui riflessi negativi dello spopolamento nelle aree più periferiche delle nostre realtà nazionali, frutto anche di scelte amministrative e organizzative poco sagge, con la nascita di quartieri e addirittura città dormitorio in cui chi proviene da realtà “paesane” si trova proiettato dal fenomeno concomitante dell’urbanesimo e dello spopolamento in altre aree in cui si perdono origini culturali e senso di appartenenza.

Dallo “stato dell’arte” presentato dal Comitato 11 ottobre e illustrato dal suo Coordinatore, Aldo Aledda, che ha moderato gli interventi, emerge che a fronte di un tasso di fertilità italiano destinato a passare dall’1,2 del 2021 all’1,1 al 2050, le politiche improntate al sostegno della maternità e della famiglia, nella prospettiva del ripopolamento, si sono rivelate inadeguate oltre che estremamente costose.

Gianluca Fabi, Direttore del Centro Studi Confederazione AEPI, ha affrontato la questione della fuga dei giovani dall’Italia che non trovano prospettive quando le famiglie perdono potere di acquisto e i salari sono tra i più bassi del mondo occidentale per effetto di una produttività che stenta a decollare e un Pil nazionale che non sostiene la crescita. Tutti, coerentemente ritengono inopportuno mettere la testa sotto la sabbia sul problema dell’immigrazione che sta risolvendo i problemi non solo del ripopolamento ma anche della ripresa dell’efficienza produttiva, oltre che del sostegno pensionistico delle generazioni uscite dal mercato del lavoro; fare questo significa condannarsi nel tempo quasi all’estinzione dato che emerge dalla lugubre predizione, illustrata dal Prof. Giordano, in base alla quale, secondo i calcoli dei demografi, l’ultimo italiano nascerà del 2230 e morirà settant’anni dopo.

Il fenomeno dello spopolamento e l’influenza che avrà sul futuro della popolazione residente è stato trattato dalla dirigente scolastica, Anna Maria De Luca, a partire dall’effetto e dai numeri della retrocessione delle istituzioni statali nell’ambito della pubblica istruzione con le conseguenze che questa avrà sul destino delle giovani generazioni, sempre meno formate e non in grado di costituire fattore di progresso.

Il presidente della Consulta regionale della Basilicata, Luigi Scaglione, peraltro anche coordinatore delle consulte regionali dell’emigrazione in Italia ha sottolineato la necessità di contare sull’emigrazione italiana di ritorno per ripopolare i territori che si erano a suo tempo lasciati. Sulla stessa linea, la Toscana, col rappresentante della Consulta regionale, Avv. Nicola Cecchi, che ha insistito sull’urgenza di coinvolgere i piccoli borghi e le regioni nelle politiche attive del ripopolamento che tengano conto delle risorse esistenti nel mondo dell’emigrazione italiana all’estero. A concordare, per la Regione Friuli Venezia Giulia, si è mostrato Luigi Papais, amministratore dell’Ente Friuli nel Mondo e dirigente nazionale dell’Unaie, che tuttavia ha denunciato come frenanti certi ruoli svolti dalle istituzioni nazionali, in testa quelle facenti capi al Ministero degli Interni, che gestiscono in modo discutibile la circolazione degli stranieri in Italia, inclusi quelli di origine italiana che sono sempre stati e stanno tuttora alla base del successo economico del Nord Est, tanto che i relativi comparti economici languono per la mancanza di personale e la Confindustria regionale calcola in 100 mila la manodopera straniera necessaria a far funzionare il sistema.

Vari echi vi sono stati sui problemi dell’Italia insulare, evidenziati da Fabio Porta per la Sicilia e dal Vice Presidente vicario della Consulta regionale dell’emigrazione sarda, Domenico Scala. Un significativo apporto è stato dato dai rappresentanti dell’Abruzzo, e da Simone Severini, delegato all’internazionalizzazione dell’Università della Tuscia, che si è soffermato sull’apporto che può provenire dal mondo universitario impegnato sul fronte della componente straniera, ma che è oggi è in sofferenza per via di un calo di studenti dal 6 al 3%.

Per attrarre risorse soprattutto a livello di piccoli borghi sono emerse alcune buone pratiche realizzate in Abruzzo e illustrate dall’architetto Massimiliano Manetti, Coordinatore nazionale settore Cooperative di Comunità Confcooperative Habitat, grazie alla quali si è dimostrato come anche in una piccola realtà di poche decine di persone si sia potuta creare una vivacità turistica e culturale con ricadute economiche in termini di posti di lavoro e qualità dell’esistenza. Importanti anche le iniziative culturali, come quella dei 33 “Parchi letterari” italiani illustrata dal Presidente nazionale, Stanislao De Marsanich, che si stanno rivelando un potente strumento di attrazione, capaci nel contempo di favorire insediamenti e creare lavoro. Tutti hanno condiviso l’idea, caldeggiata con pathos e grande conoscenza della materia dal giornalista Paolo Di Giannantonio, che sia da percorrere la strada, culturalmente indicata e in parte spianata dall’esistenza di una forte identità italiana, di prendere in considerazione la grande ricchezza dell’emigrazione italiana, sia in termini di rientro fisico nel territorio nazionale, come nel caso dell’America Latina (non perdendo ulteriormente l’occasione di fare leva sul fuoriuscitismo dell’emigrazione italo venezuelana fatta di 170 mila cittadini italiani e circa 4 milioni di discendenti) e nel favorire il lavoro nomade grazie anche a innovazioni legislative, come suggerito dall’On. Ricciardi.

È dunque indispensabile applicare un mix di politiche ed impedire che l’invecchiamento del paese non si traduca in resistenza a ogni tentativo di cambiamento e di innovazione. Il Vice Segretario Generale del CGIE, Gianluca Lodetti, ha invitato a guardarsi da questo che è diventato ormai un paese non tanto “di” vecchi ma soprattutto “per vecchi, una percezione di realtà che induce tanti giovani a stare sempre più lontani e rischia di renderli irrecuperabili nella misura in cui non si afferma una cultura di impresa e una meritocrazia capace di fondare una nuova cultura del lavoro.

Mettersi sulla strada delle iniziative che incomincino a rimuovere gli ostacoli pensando nel contempo a costruire è la prima cosa da fare, ha sottolineato Aledda chiudendo gli interventi, posto che la finalità del Comitato non è solo di fare analisi, ma di indicare strade su cui immettersi per risolvere in concreto i problemi in un sistema democratico che ha le sue leggi e i relativi meccanismi, e la proposta di legge Porta ne costituisce un esempio significativo. E lo è nella misura, per esempio, in cui elimina doppioni come il visto e il permesso di soggiorno gestiti dalle strutture più periferiche dello Stato ma anche, spesso, più distanti dagli interessi reali della collettività nazionale. Occorre che le politiche a favore degli italiani nel mondo coincidano e trovino maggiore accoglienza nelle istituzioni nazionali e locali anche negli atti che, sia pure nel rispetto delle regole formali, ne segnano il progresso.