di Sylvie Freddi
Ho dato uno sguardo alle mappe disponibili online delle basi militari americane nel mondo: una copertura radicale. Il disarmo ormai è un’utopica speranza, una bella favola irrealizzabile. Armi chimiche, nucleari, biologiche, elettromagnetiche fanno parte del kit.
Nel 1968 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato il NPT, ossia il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, ratificato da 188 Stati membri, con l’eccezione di Israele, India e Pakistan, che hanno continuato a produrre armi atomiche. Nel trattato sono definiti gli Stati nucleari — Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti — e gli altri Stati, non dotati di armamenti nucleari. In teoria, gli Stati nucleari avrebbero dovuto perseguire un disarmo nucleare generalizzato e totale, mentre gli altri Stati si erano impegnati a non sviluppare né dotarsi di armi nucleari.
Come risultato, l’industria delle armi è cresciuta a dismisura, e si stima che oggi esistano più di 36.000 armi nucleari, con una potenza da brivido. Basti pensare che una testata del sottomarino nucleare Trident ha una potenza otto volte superiore a quella di Hiroshima. Ovviamente, aerei, navi, sottomarini e basi degli Stati nucleari possono essere stanziati in Paesi non nucleari. Come in Italia, dove, pur avendo rinunciato all’energia nucleare, senza battere ciglio accogliamo nelle basi americane di Ghedi e Aviano circa 70-90 testate atomiche, abbastanza per fare del nostro bel Paese una terra bruciata.
Oggigiorno, in questo gioco di Real-Risiko, la corsa agli armamenti ha subito un’ulteriore accelerazione. La strategia di una militarizzazione su larga scala, in questo caotico millennio, è evidente: chi ha più soldi e armi vince il dominio del mondo. La fiorente militarizzazione preventiva, fatta di basi che spuntano come funghi dopo una giornata di pioggia, per “portare pace e monitorare i cattivi” crea tensioni e guerre che di pace non hanno nulla. Questa strategia militarista non fa presupporre uno scenario futuro ricco di pace e solidarietà, ma piuttosto una grande destabilizzazione e radicalizzazione delle posizioni.
Se riportassimo questa militarizzazione in scala familiare, sarebbe come se, nella nostra piccola realtà, ognuno di noi possedesse armi, magari un piccolo mitragliatore e qualche bomba, così per prevenzione. Ogni mattina sventoliamo le armi sotto il naso del vicino che non amiamo, e magari ogni tanto tiriamo una piccola bomba nel suo giardino, facendo saltare il cane. Infine, la mattina dopo gli mandiamo via WhatsApp brevi messaggi di pace.
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