di Rocco Pio Carriero
Nel calendario accademico, il mese di ottobre è già tempo dei primi esami per gli studenti. Allo stesso modo, nel mondo politico, si potrebbe dire che anche per il Governo è tempo di prove, vista la presentazione del documento programmatico di bilancio alla Commissione europea e l’inizio dell’iter parlamentare del disegno di legge di bilancio.
Una manovra economica alquanto ardua, considerate le numerose variabili cui l’Italia e molti paesi europei devono far fronte: dall’instabilità geopolitica in Ucraina e in Medio Oriente al contesto economico particolarmente fragile. La manovra prevede interventi pari a circa 30 miliardi nel 2025, oltre 35 miliardi nel 2026 e più di 40 miliardi nel 2027.
Il ministro Giorgetti ha chiesto un taglio lineare alle spese dei ministeri (come già fatto da Tremonti) e di valutare con serietà e senso di responsabilità le raccomandazioni della Commissione europea, anche a costo di sacrifici in termini di consensi. In un momento così delicato e con poche risorse a disposizione, non è il tempo della propaganda politica. Proseguire su tale strada porterebbe a una scarsa affidabilità, soprattutto in ambito finanziario, che sarebbe importante evitare.
Il pacchetto di misure previsto dal governo, approdato qualche giorno fa alla Camera dei Deputati, è articolato e ricco di interventi; le audizioni in commissione Bilancio inizieranno il prossimo 28 ottobre, seguite dalla presentazione degli emendamenti.
Tra le principali proposte, è necessario menzionare il taglio del cuneo fiscale, che diventa strutturale, e la riduzione delle aliquote Irpef a tre scaglioni. Si tratta di un cavallo di battaglia del centrodestra che vale circa lo 0,58% del PIL. La tanto acclamata riforma delle pensioni viene, invece, accantonata a favore della riconferma di quota 103, Opzione Donna e Ape sociale. Tra le buone notizie, spicca anche l’aumento delle pensioni minime a 617,9 euro rispetto agli attuali 614,77 euro. Sempre nell’ambito previdenziale, dal d.d.l. emerge per il 2025 la volontà del governo di ripristinare il sistema della perequazione più vantaggiosa per i pensionati, già adottato dal governo Draghi nel 2022.
Questo meccanismo adegua le pensioni al costo della vita, preservando il potere d’acquisto reale delle famiglie italiane, che così potranno sentire meno l’impatto dell’inflazione.
Tra i 144 articoli del testo approdato alla Camera, emerge anche l’attenzione del Governo per il tema della natalità, un problema urgente per il Paese. È previsto un “bonus bebè” di 1000 euro per ogni figlio nato a partire dal 1º gennaio 2025 in famiglie con reddito non superiore a 40.000 euro, oltre a un parziale esonero della quota di contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti e autonome, esclusi i rapporti di lavoro domestico.
Il vero punto debole, però, resta un altro: la sanità. L’articolo 47 recita: “Il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è incrementato di 1.302 milioni di euro per il 2025”. Tuttavia, lo stanziamento risulta inferiore ai 3,7 miliardi inizialmente promessi al personale medico e sanitario, portando i sindacati a proclamare uno sciopero nazionale il prossimo 20 novembre. Questo problema è aggravato dalla carenza di borse di specializzazione per i giovani medici, sempre più riluttanti ad accettare condizioni di lavoro meno vantaggiose rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea.
Sembra quindi che le aspettative del personale sanitario, costantemente in prima linea, siano state ancora una volta disattese, nonostante le promesse seguite ai recenti episodi di violenza negli ospedali. Tali episodi riflettono un clima di tensione che i pazienti vivono quotidianamente, esasperati da interminabili liste d’attesa e costretti sempre più spesso a rivolgersi a cure private, non accessibili a tutti.
Nel complesso, la manovra economica appare in linea con la reale situazione finanziaria del Paese. Il criterio dei “conti in ordine”, più volte menzionato dal ministro Giorgetti, è l’unica strada per ridurre il deficit (stimato per il 2025 al 3,3%) e per evitare la procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea lo scorso giugno.
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