di Virginia Diaco*
Nel mio immaginario è strano pensare che a un medico rimanga il tempo e il privilegio di restare umano, soprattutto se quel medico è medico nei nostri ospedali, nella nostra terra, sottoposto all’arte di arrangiarsi e a dinamiche discutibili. Angelo Broccolo è un medico che è rimasto, è un medico accortosi che ‘’le nuvole camminano’’. “E le nuvole camminano” – edito da Le Pecore Nere – è il suo ultimo libro, che dovrebbero leggere medici e pazienti, affinché non dimentichino di essere umani e di avere di fronte degli umani, reciprocamente.
Nel diario, racconti incentrati sull’empatia, perché è l’empatia che lo muove verso la giustizia sociale, l’accudimento. Non c’è storia di un singolo volto incrociato che non sia la storia dell’umanità.
Nanni Moretti in Caro Diario ci parla di medici che sanno parlare ma non sanno ascoltare. In questo libro e nella sua professione, Broccolo non ha solo ascoltato. Broccolo è entrato nella vita di ognuno di loro, che è la nostra, secondo un flusso di appartenenza che unisce tutti e porta a sentire il dolore dell’altro come proprio. Nello scambio continuo con gli incontri, più che presunzione di guarigione c’è una sua dichiarazione di parte civile e ‘’umana’’, cosa rarissima. Angelo Broccolo ha scoperto la cura più efficace e universale: la premura. Angelo Broccolo ha scoperto un vaccino universale: l’aiuto reciproco. Perché tutti hanno qualcosa da dare. E come scrive Arminio: ’’Spesso gli uomini si ammalano per essere aiutati. Allora bisogna aiutarli prima che si ammalino’’.
Dico che dovrebbero leggerlo tutti questo libro, poiché tutti ci siamo dimenticati dell’umanità. Lo hanno fatto i medici tanto quanto gli altri. Non ci fermiamo più a vedere le nuvole che si muovono e che possono alleggerirci ‘’il peso di dover sentire’’. Broccolo incontra donne, uomini e bambini. Broccolo incontra lo sfruttamento, la disoccupazione, le falle del sistema sanitario, le morti in mare, la violenza e la povertà. E non volta le spalle. Non conosce stanchezza o la giustificazione del tempo – «Ed io avverto una sensazione di disagio e di vergogna per aver pensato che ad un medico possa essere concessa la variante “burocratica” del tempo. Come se il tempo fosse un fatto “privato” in chi sceglie questa professione; come se il dolore avesse un tempo fisso entro il quale farsi strada e non fosse invece una stria silenziosa che incrocia le nostre esistenze con indiscreta e sprezzante puntualità» – e non è un eroe, è un essere umano che soccorre il prossimo. Ed è anche medico.
Al Sud è sempre esistita ‘’riverenza’’ verso i medici, un’attività di deumanizzazione su due fronti: il medico non è essere umano e il paziente è inferiore al medico. Anche oggi medico e paziente si declinano su due piani diversi. Ci sentiamo perennemente in obbligo con chi ci assiste, perché per noi non è normalità ma lusso; e non solo a livello sanitario, ma anche per quanto riguarda gli altri diritti che spesso, per sopravvivenza al sistema, mercifichiamo. Pure a questa lotta prende parte Broccolo, lotta di cui scrive con attenzione costante contro tutte le gabbie, compresa quella in cui i calabresi si sono rinchiusi accettando che la propria vita venga valutata meno per provenienza geografica e presto per tutti, guadagno.
C’è una terribile minaccia alla nostra salute, secondo l’autore: ‘’l’arresto del cuore degli uomini’’. Ed egli fornisce l’antidoto: la strada dell’impegno civile e politico. Tutte le storie del libro ci portano davanti alla dimenticanza comune: l’umanità. Ci siamo dimenticati dell’umanità negando la nostra natura impermanente e vulnerabile. Ci siamo dimenticati dell’umanità quando abbiamo finto di non vedere un abuso e non lo abbiamo combattuto, quando ci siamo scordati delle bare sui camion militari.
Ci siamo dimenticati dell’umanità, dell’amore, quando non abbiamo preservato la vita sui barconi che hanno approdato alla morte, quando non abbiamo scongiurato i conflitti civili, quando non abbiamo indossato i vestiti dell’afflitto e sperimentato il suo dolore, che è il nostro. Ci siamo dimenticati di tutto quando non abbiamo permesso a noi stessi e agli altri di essere umani, quando abbiamo creduto si potesse stare bene pur sapendo anche di un solo essere in pena, quando abbiamo associato il bene imprescindibilmente ad una religione e non all’umanità, che ora null’altro è che denominazione di specie: “Un uccellino resta tale solo se è capace di volare’’ (Giovanni Pistoia).
Ci siamo dimenticati dell’amore quando abbiamo pensato che la nostra vita fosse più meritevole dell’altrui, quando non abbiamo compreso che ogni vita che va potrebbe lasciare qualcosa di buono. Ci siamo dimenticati dell’amore quando non abbiamo più guardato l’alto e l’altro, quando abbiamo pensato erroneamente che si potesse vivere senza lo sguardo in alto e all’altro. Ci siamo dimenticati dell’amore quando abbiamo conosciuto la sofferenza e l’abbiamo fatta conoscere anche agli altri, in una vita già dura di per sé, un combattimento ad armi impari. Ci siamo dimenticati dell’amore ma possiamo ricordarcene, tra queste pagine e da queste pagine, che ci ritrovano essere umani.
* Virginia Diaco si interessa di letteratura, politica e vulnerabilità sociali, nutrendo una profonda fiducia nel potere delle parole. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in ambito letterario, tra cui il V Premio Internazionale di Letteratura “Giovanni Bertacchi” e la menzione della Giuria per la Prima Edizione del Premio Letterario Internazionale “Il Viaggio”. Attualmente scrive per la testata giornalistica Informazione&Comunicazione ed è in procinto di iscriversi all’Ordine Nazionale dei Giornalisti.