Europa Politica

Europa: a lavoro per i “top Jobs” della politica comunitaria

È ufficialmente iniziata la nuova legislatura europea. Una partenza tutt’altro che tranquilla
considerate le trattative che da alcuni giorni i capi di Stato e di governo dell’Ue stanno portando
avanti per definire chi ricoprirà i“top Jobs” della politica comunitaria.
Il recente voto, oltre ad aver scosso i governi di alcuni Paesi, Francia e Germania in primis,
consegna un quadro politico chiaro e ben definito, non troppo diverso da quello di cinque anni fa.
A tal proposito, analizzando i dati delle grandi famiglie, in testa alle preferenze, Il Partito popolare
europeo ottiene 189 seggi; seguono a ruota i socialdemocratici, i conservatori dell’Ecr (guidati da
Meloni) e i liberali di Renew Europe. Più indietro l’estrema destra di Identità e democrazia di cui
fanno parte i partiti di Salvini e di Marine Le Pen.

La mutabilità parziale dei seggi ha permesso nuovamente a popolari, socialisti e liberali di trovare
una sintesi sui principali incarichi: Ursula von der Leyen è stata indicata per presiedere la
Commissione europea, António Costa il Consiglio europeo e Kaja Kallas dovrebbe ricoprire
l’incarico di Alto rappresentante degli Affari esteri.
Al momento del voto di questo pacchetto di deleghe, l’Italia, rappresentata dal Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni, si è astenuta sulla nomina di Von der Leyen e ha votato contro la
nomina degli altri due. Il significato del voto discorde é abbastanza intuitivo: il lavoro della
commissaria uscente è stato lodevolmente apprezzato da Antonio Tajani nella recente campagna
elettorale e tutti e due siedono nel medesimo gruppo parlamentare, i Popolari europei.
Il governo avrebbe potuto risentirne in modo rilevante in caso di strappo definitivo.
A votare contro la nomina dell’ex ministra della difesa tedesca anche Viktor Orbán, primo ministro
ungherese e leader della famiglia dei conservatori. Ma se da una parte la posizione italiana e ungherese non sembra impensierire troppo gli altri leader europei in quanto il Consiglio europeo elegge a maggioranza qualificata un presidente per un mandato di due anni e mezzo, dall’altro però, in vista del voto di fiducia a Von der Leyen, la posizione della Meloni diventa determinate, considerata la ristretta maggioranza a disposizione della coalizione “Ursula” e l’alta probabilità di franchi tiratori.
In tutto ciò appare chiaro che l’Italia non ha giocato un ruolo da protagonista e questo non si
addice ad un paese fondatore dell’Unione Europea come il nostro. Non é mancata l’irritazione
della stessa premier la quale, a proposito delle proposte di nomina, ha dichiarato che “non sono
state neanche vagamente anticipate da una discussione e che non rispecchiano il risultato uscito
dalle urne.”
La tensione sale ancora di più se si pensa che negli ultimi 25 anni l’Italia ha sempre portato a casa
grandi risultati dalle negoziazioni europee: nella scorsa legislatura europea (2019-2024) l’Italia ha
espresso il Commissario agli affari economici, Paolo Gentiloni e il Presidente del Parlamento
Europeo dal 2019 al 2022, David Sassoli; qualche anno prima l’Alto Rappresentante per la politica
estera e di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini; il Presidente del
Parlamento Europeo per metà legislatura (2017-2019), Antonio Tajani.
La partita non é ancora chiusa. Scopriremo nei prossimi giorni l’evoluzione dello scenario politico
in attesa del 18 Luglio quando il bis della presidente della Commissione dovrà superare il voto
segreto del Parlamento. A prescindere dal credo politico, bisogna continuare a fare il
tifo per l’Italia: le grandi sfide del cambiamento climatico e della transizione digitale, passando per
quelle energetiche richiedono una grande cooperazione tra tutti i Paesi, senza creare distanze
incolmabili nella comune dialettica tra maggioranza e minoranza. Solo così potremo veramente
incarnare i valori dell’Unione Europea e indebolire coloro che minano il processo di integrazione.

Foto di copertina pixabay.com