Luca Lotti, 42 anni e una carriera invidiabile in politica: era uno dei pochi a far parte del cosiddetto “Giglio magico”, il gruppo ristretto di persone di fiducia dell’allora Premier Matteo Renzi, insieme al quale ha scalato il Partito Democratico arrivando ai vertici politici e istituzionali dell’Italia. È stato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Ministro dello Sport, Segretario del Comitato interministeriale per la programmazione economica e tante altre cose. Nel 2016 parte un’indagine – cosiddetta “Consip” – diventata poi un processo, nota soprattutto perché riguardava imputati eccellenti e vicini all’ex Premier Matteo Renzi, tra i quali il padre Tiziano e lo stesso Luca Lotti.
A marzo scorso, dopo circa sette anni, arriva l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
Onorevole Lotti, il processo Consip è stato molto lungo, anche troppo, però alla fine la giustizia ha prevalso.
Non ci sono tante considerazioni da fare, a parte quella sulla lungaggine della giustizia: sette anni e mezzo sono tanti, troppi. È vero, ciò che conta è che la verità alla fine ha prevalso, però il segno che lascia una vicenda come questa resta.
Quale insegnamento ne trae?
Intanto che nella vita si può cadere anche sette volte, però l’importante è che ti rialzi otto volte.
Poi, dal lato umano e al netto di tutto, in momenti come questi impari a riconoscere le persone per quello che realmente sono, chi ti sta vicino per opportunità e interessi e, invece, chi è leale e ti resta vicino sempre, anche di fronte ai pregiudizi.
Ad ogni modo spero che più che restituire a me qualcosa questa vicenda, così come quelle che riguardano tanti altri colleghi, aiuti a fare una riflessione seria e profonda in tutti i partiti su come e quanto sia sbagliato usare le inchieste per fare politica. Soprattutto nel mio partito.
Lei è rimasto leale al Partito Democratico, ma – al di là della mancata ricandidatura alle ultime elezioni politiche – non crede, che si sia spostato troppo su posizioni giustizialiste e populiste, soprattutto in relazione alla vicinanza con il M5S, offuscando di fatto la sua vocazione iniziale?
Io sono tra i fondatori del Partito Democratico e sono rimasto coerente a quei valori che ne hanno determinato la nascita. Oggi, in tutta sincerità, devo ammettere che non condivido la linea che sta percorrendo, soprattutto perché non ne comprendo la visione. Al di là della mia vicenda personale, ho sempre pensato che il PD non dovesse mai abdicare a quella vocazione maggioritaria di epoca veltroniana e, soprattutto, non dovesse mai rinunciare al ruolo di guida nel centrosinistra, a partire dai valori caratterizzanti, tra cui quello del garantismo sancito dalla nostra Costituzione.
Lei non ha seguito Matteo Renzi, col quale ha condiviso un lungo e straordinario percorso politico e istituzionale. Se tornasse indietro cosa farebbe, soprattutto alla luce del trattamento ricevuto dall’allora Segretario Enrico Letta?
Rifarei la stessa scelta. Con convinzione. Avevo preso più di 65.000 voti vincendo il mio collegio e volevo mantenere l’impegno preso con gli elettori. Aggiungo che, se il gruppo riformista che è rimasto nel PD fosse uscito insieme a Matteo Renzi, in quel momento i gruppi del partito alla Camera e al Senato sarebbero spariti, arrecando un danno a tutta la comunità democratica. Ecco, forse a Letta si sono dimenticati di ricordare questo particolare non irrilevante, lasciandolo solo a decidere offuscato dal suo triste desiderio di vendetta, che poco ha a che fare con la Politica.
In questi anni in cui, come ha scritto, la sua vita è stata “letteralmente stravolta” da questa vicenda, che si è chiusa con l’assoluzione, quanto è stato importante il sostegno delle persone a lei vicine e quante delusioni, invece, ha avuto da chi le ha voltato le spalle o è semplicemente sparito?
Ho scoperto di avere molti amici, spontanei e disinteressati, il cui sostegno è stato importante soprattutto nei momenti di maggiore sconforto. Però ho dovuto prendere atto anche della poca sincerità di quelli che in realtà si sono solo travestiti da amici, e li ho messi da parte. In questi momenti vedi il vero volto delle persone.
La politica per lei è stata una passione che l’ha portata ad avere ruoli di rilievo in età molto giovane. È una passione ormai finita, fuori dal Parlamento, oppure in questi anni ha continuato ad occuparsene?
Non ci si può dimettere dalle proprie passioni, questo vale anche per me e per la mia passione politica che ho coltivato sin da ragazzo. In questo anno e mezzo ho continuato a seguirla, anche se da un punto di vista diverso. In futuro chissà…
Che prospettive vede all’orizzonte?
Vedo un governo di centrodestra molto più debole dei voti che ha conquistato un anno e mezzo fa, caratterizzato da politiche ben lontane da quanto promesso in campagna elettorale. Ma, purtroppo, non vedo un’opposizione pronta a governare e nemmeno la volontà di provare a riunirsi intorno ad un progetto concreto per il Paese.
Oggi è maggiormente impegnato nell’altra sua passione, il calcio, che le sta dando soddisfazioni e le ha fatto ritrovare l’entusiasmo. Se domani dovesse scegliere tra calcio e politica?
Non mi pongo questo problema. Vivo il tempo che mi è dato impegnandomi al massimo in quelli che sono i miei obiettivi. Ora l’obiettivo è la salvezza con l’Empoli, molto difficile, ma che avrebbe lo stesso sapore del 40% raggiunto alle elezioni europee del 2014. E intanto ieri ha vinto con il Torino portando a casa 3 punti molto importanti.
In conclusione, sia nel calcio che in politica si vince e si perde, qual è la strategia migliore per tornare a rialzarsi più forti di prima?
Non mollare mai e, soprattutto, non smettere mai di credere nelle cose che si fanno, con studio e determinazione. È importante continuare a misurarsi, sempre, perché con il lavoro e il sacrificio i risultati arrivano sempre. Come la verità.