Con Bermúdez hai un rapporto speciale da sempre tanto da ritrovarti ancora una volta nelle vesti di suo traduttore. Cosa ti ha più colpito del suo Segreto a più voci?
In Segreto a più voci mi hanno colpito vari aspetti: il suo essere un romanzo ibrido (memoir, di formazione, politico, d’investigazione), la pluralità delle voci che raccontano e si raccontano, la presenza dell’autore che irrompe nella narrazione e si rivolge al lettore.
La forma narrativa destrutturata di Bermúdez ti ha dato qualche difficoltà di traduzione? Hai aggiunto note per le scelte stilistiche che hai adottato?
Non ho avuto particolari difficoltà di traduzione, salvo garantire sempre i riferimenti colti e le citazioni occulte di cui abbonda la scrittura di Bermúdez, vera enciclopedia letteraria. Le poche note presenti nel testo riguardano certi personaggi del contesto politico che non tutti i lettori italiani potrebbero conoscere.
Dopo essere tornato ai racconti, dopo anni Bermúdez torna alla forma romanzo affermando che questo suo nuovo è una ricaduta…per te cosa rappresenta?
È una ricaduta perché Bermúdez è uno dei cosiddetti scrittori “del silenzio”. Non è certo un poligrafo né rincorre i clamori dei media né successi effimeri. Scrive solo quando l’urgenza è incontenibile e ciò gli costa tensione e forte coinvolgimento emotivo. Per questo parla del “precipizio della scrittura”.
La realtà si intreccia alla finzione nei suoi libri come nei migliori libri ultracontemporanei. Che periodo della storia argentina prende in esame?
In questo romanzo prende in esame il periodo del peronismo e del successivo periodo della dittatura. E poiché molti personaggi sono di origine italiana, ci sono dei passaggi riferiti agli anni dell’emigrazione degli italiani in Argentina.
Hai sempre tradotto autori latinoamericani, a che punto è la narrativa latinoamericana qui in Italia?
Devo dire che è una narrativa che da tempo gode di un deciso gradimento da parte dei lettori italiani e di attenzione da parte degli editori. Oltre alla grande editoria, molti editori indipendenti pubblicano autori latinoamericani, alcuni in forma esclusiva o con collane dedicate (Sur, La Nuova Frontiera, Arcoiris ecc..). Le edizioni Spartaco hanno un’esclusiva su Bermúdez, per esempio, perché ne hanno saputo cogliere il valore letterario e l’originalità dello stile.
Tra queste narrative ti ha sempre affascinato quella argentina e quella messicana. Puoi suggerirci qualche autore o autrice da leggere?
Dei messicani mi limito a pochi nomi, i primi due di forte prospettiva e gli altri già storicizzati: Guadalupe Nettel, Daniel Saldaña París, Mario Bellatin e Álvaro Mutis (colombiano di nascita). Ma chi vuole approfondire la letteratura messicana non può prescindere da un capolavoro che non si può ignorare: Pedro Páramo di Juan Rulfo.
Tra gli argentini, della stessa generazione di Bermúdez, mi permetto di segnalare Martín Kohan, di cui presto uscirà una mia traduzione, Alan Pauls e Rodrigo Fresán; infine vorrei citare Aurora Venturini, di recente pubblicata da Sur e l’imprescindibile Ricardo Piglia, per i romanzi ma anche per i suoi libri di critica letteraria.
Gianni, un’ultima domanda, cosa significa per te tradurre?
Tradurre per me è una passione, un atto d’amore. La scelta dei sudamericani nasce dalla mia conoscenza della lingua e delle formidabili letterature di quei paesi. Amo scoprire e far conoscere autori di forte spessore letterario da noi poco presenti o del tutto assenti dai cataloghi delle case editrici. Mi piace fare da ponte tra due culture e solo quando gli autori che propongo ottengono il gradimento dei lettori mi sento completamente appagato. Tradurre è un lavoro impegnativo ma sa regalare emozioni e soddisfazioni.