Arriva al cinema l’opera prima del regista partenopeo Diego Santangelo, A Muzzarell’ con Martina Varriale, Daniele Aiello, Pietro Juliano, Francesco Verde, Anna Marigliano, Elvira Pinto, Justin Mauriello, Angela Solla, Mariano Montesano, Gennaro Cicale, Anna Palladino e Nicandro Barone musiche di Adriano Pennino e Partenope.
Il film, prodotto dalla Santangelo Media Studios, con il supporto del Ministero della Cultura e del Festival Corto Flegreo e con il patrocinio del Parco Archeologico dei Campi Flegrei e del Comune di Pozzuoli, arriverà in sala a partire dal 15 febbraio.
Daniele, dodicenne di Castel Volturno, sta per perdere sua nonna che vive a 40 km di distanza, a Bagnoli nei Campi Flegrei, la sua ultima volontà: mangiare una mozzarella fatta dal figlio, il padre di Daniele, allevatore di bufale. Il ragazzo decide di accontentare la nonna ed intraprende un viaggio, prima in motorino e poi a piedi, in compagnia della sua crush, Martina. Il viaggio diventa un percorso alla scoperta di se stesso e al tempo stesso una via di fuga dalla realtà. Alla morsa della droga e dell’emarginazione sociale, al clan di spacciatori, di cui rischia di diventare corriere, si oppongono incontri imprevisti con persone non comuni ed esperienze paranormali, che affiorano con insistenza scatenando in Daniele ricordi di un’età felice dimenticata troppo presto o addirittura mai vissuta. Su tutto aleggia la misteriosa presenza di una donna che appare in diverse vesti ed età e che sembra affiancarlo nel suo viaggio verso la libertà. Un percorso intimo in cui i due ragazzi esplorano le aeree degradate della periferia campana fino a raggiungere il potenziale paradiso urbano dei Campi Flegrei, tra il Tempio di Diana e quello di Apollo, le Terme Romane di Baia e l’antro della Sibilla. Incontreranno lungo il loro cammino spacciatori, prostitute e figure gentili che li condurranno verso la giusta strada da intraprendere nella vita.
Diego tu sei regista, art director, writer, direttore della fotografia, da dove nasce il tuo desiderio di girare il tuo primo lungometraggio?
Nasce da lontano, passione maturata da ragazzino. Un sogno che ho dovuto presto sopire facendo un percorso diverso e commensurato alle possibilità economiche, in verità poche, della mia famiglia. Poi iniziai a disegnare le storie che immaginavo e che per alcuni anni mi hanno risolto la sopravvivenza; diventai quindi un fumettista.
Non potevo permettermi un percorso formativo in cinematografia. Solo molto più tardi sono tornato al primo amore, dopo un lungo percorso professionale e di studio. Solo quando con tenacia ho potuto costruire le condizioni per recuperare, da autodidatta, la conoscenza tecnica e artistica necessaria ho capito che il tempo era maturo.
Affrontare la direzione di un film di lungometraggio è significato per me creare tutte le condizioni tecniche e la squadra perfetta per realizzare tutto quanto da veri indipendenti.
È per questo che sono molto grato al mio team di giovani professionisti che mi affianca da anni con abnegazione e passione. A questo si somma la mentalità imprenditoriale che ci ha permesso di fare un piccolo miracolo con mezzi propri.
Il desiderio poi è stato alimentato da una mia necessità interiore a voler mandare un messaggio di speranza a questa generazione di giovani, forse la voglia di scrivere qualcosa che possa essere un giorno utile anche ai miei figli e soprattutto ai miei nipoti.
Daniele, il protagonista di A Muzzarell’, compie un vero e proprio viaggio di formazione dalle aeree degradate della periferia campana fino a raggiungere il paradiso urbano dei Campi Flegrei, tra il Tempio di Diana e quello di Apollo, le Terme Romane di Baia e l’antro della Sibilla. Che tipo di viaggio è?
È un viaggio onirico, lisergico se si vuole; è soprattutto un percorso intrapreso da un bambino alle soglie dell’adolescenza la cui esperienza di vita è quella di chi si trova molto presto a fare i conti con la propria infanzia di emarginazione, infanzia negata, con la perdita precoce di quella protezione offerta dal calore di una famiglia coesa a sostenere lo sviluppo armonico dei figli. Questa condizione come sappiamo è molto diffusa oggi, in un’epoca dove la famiglia perde sempre più valore e la funzione sociale che ha ricoperto da sempre è messa fortemente alla prova da nuovi modelli, a mio parere non sempre vincenti.
Per lo spettatore significa osservare il mondo attraverso gli occhi di un ragazzino, ritrovarsi a percorrere con Daniele un itinerario che lo avvicina passo dopo passo, un’esperienza dopo l’altra, ad una possibile redenzione. Il mondo qui rappresentato è quello che un bambino della sua età, precocemente cresciuto, con il suo vissuto fatto di disagio, proietta al di fuori di sé inseguendo il miraggio di facili guadagni.
Hai riletto in questo film in chiave contemporanea qualche leggenda, mito e favola?
Se miti, personaggi allegorici o figure fiabesche si prestano ad essere facilmente individuate (potrebbero essere tracciati allegoricamente parallelismi con cappuccetto rosso, Caronte, gli oracoli della Sibilla) molto più potente è la trasformazione che ha operato su questi ragazzi il mondo dei social, nel caso di Martina totalmente sedotta dall’idea di diventare presto famosa facendo i tik tok, per Daniele invece attraverso la scorciatoia dei traffici illeciti, “muschillo” alle prese con il suo primo trasporto di sostanze stupefacenti per conto del crimine organizzato. Questa è gente che ben sa come sedurre i giovanissimi, avvicinando i nostri ragazzi con lusinghe e promesse, se lasciati soli a confrontarsi con il mondo della strada. Un ruolo e un miraggio al quale si avvicinano per la prima volta i due amici, Lucio e Daniele, che purtroppo trascina in una spirale da cui non si ritorna facilmente indietro.
Il tuo cinema indipendente è di denuncia? Hai qualche modello a cui ti sei ispirato nella storia cinematografica?
Sicuramente il neorealismo di De Sica, di Pasolini, di tanti così grandi maestri del cinema italiano che hanno dato all’Italia e al mondo film che sono capolavori irripetibili, sono la mia fonte primaria di ispirazione. Non posso negare però un simile approccio si ritrova in una cinematografia indipendente americana che mi intriga e mi insegna di fotografia, di dialoghi surreali, “strizzati”, di silenzi, dell’uso di un soundtrack fatto di hit potenti, strumenti talvolta poco affini alla nostra narrativa cinematografica, da Doom Generation di Gregg Araki a Natural Born Killers di Oliver Stone, a Paura e Delirio a Las Vegas di Terry Gilliam, come pure una poetica della realtà influenzata dalla Nouvelle Vague francese piuttosto che dal cinema italiano di Matteo Garrone. Insomma di riferimenti ce ne sono tanti. E poi ci sono io. E qui naturalmente il banco di prova di un’opera prima.
Si sarebbe portati a credere che il viaggio di Daniele sia teso a tracciare un percorso allegorico volto a mostrare le bellezze di una terra e dei suoi miti antichi; vedute paesaggistiche e archeologiche potrebbero far pensare ad un intento promozionale dei territori, ma così non è, anche se si scoprono scorci talvolta di rara bellezza.
Il vero scopo di questa piccola fiaba moderna invece è quello di una denuncia senza se e senza ma. Il percorso verso la casa della nonna paterna termina nell’area della ex-italsider di Bagnoli, un’altra promessa mancata, dove un giorno è calato il buio sul mostro che inquinava l’area e che nel contempo dava sostentamento a migliaia di famiglie operaie.
Ancora oggi a distanza di circa 50 anni non si sono viste adempiute le promesse di un risanamento e una rinascita dell’area.
Quante di queste odiose manifestazioni di inefficienza conosce il meridione e quante occasioni si sprecheranno ancora all’indomani di altre auspicabili chiusure di poli industriali altamente inquinanti? Quali alternative prepara questo paese per i più giovani nel tempo della transizione energetica, della consapevolezza ambientale? La terribile deriva alla quale sono esposti i nostri giovani riempie la cronaca, sconvolge il paese da nord a sud senza eccezioni. Suonare la campana sui pericoli che si annidano in questo percorso sociale, che lascia cadere ogni freno inibitore sull’altare del tutto e subito, nel mito della realizzazione di sè stessi, significa individuare delle chiare responsabilità nell’epoca degli “adultescenti”.
All’origine di questa generazione, che ha smarrito la bussola della genitorialità in favore di una personalità spesso immatura, che tutto consente e tutto perdona, c’è di certo un’ideologia che si fa portatrice di quel materialismo globalista che sta disseminando la terra di separazione, di conflitti, di ipocrisie.
Come il cinema neorealista hai preso un cast di attori non professionisti tra cui si vede anche qualche volto noto. Ce ne parli?
Ho creduto fortemente alle potenzialità maturate negli anni da Naomi Sally, mia figlia, una nota casting director e dal suo gruppo di lavoro che ha dato innumerevoli giovani attori alle grandi produzioni, prima fra tutte la Disney. Per questo stesso motivo mi sono avventurato con fiducia alla ricerca di volti improbabili ma perfetti per i ruoli che avevo immaginato. Figure a tratti grottesche che non devono suscitare nei ragazzi il desiderio di emulazione. E poi esseri reali che sanno trasmettere calore umano e la profondità dei sentimenti e dell’emozioni vere. Personaggi estremi, orribili o rassicuranti, accoglienti, amorevoli, pervasi di fragilità e forza interiore sarebbero stati difficilmente riproducibili solo con attori professionisti, se non molto abili, come hanno poi dimostrato di essere Pietro Juliano, Elvira Pinto, Annamaria Marigliano, Francesco Verde.
Dal mio canto sono pienamente convinto che se vuoi mettere in scena la realtà si debba attingere nell’immenso caleidoscopio di ritratti che l’umanità di questi luoghi ti offre. E poi da non dimenticare l’innata prerogativa alla recitazione che hanno i “napoletani” in senso lato, mi riferisco al popolo del meridione che ha una capacità enorme di calarsi nella finzione, nella recitazione, facendotene percepire financo il respiro, gli odori, la vibrazione che emanano i personaggi raccontati.
È infine una scelta stilistica dettata anche dal budget lontano dall’essere milionario, soprattutto una decisione nata dal bisogno di rendere molto veritiero un racconto che invece attinge al lato metafisico dell’esistenza, quindi ad aspetti intrisi di soprannaturale.
Cosa possiamo fare oggi per aiutare gli adolescenti a capire che esiste un mondo reale fatto di affetti? Cosa possiamo fare per aiutare a crescere la loro empatia oggi fagocitata da un mondo spettacolarizzato e distante dalla vita quotidiana?
Io ritengo che la morte dell’anima, la sedazione dello spirito, il tentativo di annichilire la coscienza, quel dono innato che ogni essere umano porta in sé alla nascita, quando arriva da una dimensione “diversa” pronto a calarsi nel caleidoscopio della vita sulla terra, sia stato il più grande attentato al cammino verso la convivenza pacifica fra i popoli nell’era moderna.
Dopo di ciò sembra che ogni crimine ed ogni sopruso è stato sdoganato, reso possibile. Esporsi al tamtam mediatico, al web delirante rischia di farti accettare nell’arco di poche settimane, anestetizzati al dolore di chi soffre, l’orrore di un’ennesima guerra, la delirante bruttura dello stupro di massa, l’assassinio di un essere umano.
Ecco, la mia sensazione è che l’anima, che è stata progressivamente negata a queste nostre generazioni, sarebbe da recuperare, da mettere al centro della vita dei nostri ragazzi. È in quel luogo, nel cuore, dove ha sede l’amore e il contatto con l’intelligenza universale, lo spirito d’amore, o semplicemente “il divino”, che si possono recuperare i legami d’amore e risanare le ferite interiori per poter poi ripartire, per rialzarsi rifiutando gli orrori, droghe, omicidi, pornografia, stupri, guerre, violenza.
Solo la Coscienza risvegliata, non più condizionata e intorpidita dai degradanti messaggi che arrivano dal contenitore del social (indiscriminatamente libero di auto-generarsi in una matrice algoritmica inespugnabile), di un web popolato di odiatori frustrati o di bellezze impossibili, di calciatori ricchissimi o influencers multimilionari, può restituire ai nostri ragazzi e a soprattutto a noi adulti una chiave per riappropriarsi degli affetti e della dignità sociale dell’essere umano e sperare in un futuro pienamente recuperato all’amore.