Il bersaglio è il suo cuore fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde: un caso unico al mondo…la scuola che vivo, la scuola che vorrei.
Sono un’ insegnante, ho sognato di esserlo fin da ragazzina, ma, per eventi della vita, ho tardivamente realizzato il mio sogno di entrare in una classe e avere il privilegio di osservare, parlare, educare ed erudire una ventina di giovanissime menti pronte a ricevere un’adeguata formazione. I passi per realizzare il mio sogno li ho messi preventivamente nel cassetto con una preparazione costante ed accurata in giovane età quando la tua mente ti consente sconfinati viaggi pindarici. Ho investito lo stesso impegno nel lavoro di formatore aziendale, corredato di altre mille funzioni, che il mio percorso di vita mi ha proposto, arricchendo la mia vita di conoscenze e competenze che tanto oggi mi aiutano nello svolgimento delle mie lezioni.
Negli ultimi giorni un grande fermento intorno al mondo della scuola è stato scatenato da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, che, sulla maggiore testata nazionale, definisce la scuola inclusiva italiana un totale fallimento nonché un caso unico al mondo poiché accoglie al suo interno classi con studenti con disabilità, alunni con disturbi specifici di apprendimento e bisogni educativi speciali nonché alunni stranieri con poca o nessuna dimestichezza linguistica!
Il mio ruolo mi lascia sperare che lo storico in questione puntasse a una provocazione mediatica e/o a far puntare i riflettori su una realtà scolastica sicuramente da “sbattere in prima pagina!”
Sono fiera di far parte di quel caso unico al mondo!
La scuola inclusiva ha ancora molti aspetti da integrare e migliorare e forse gli “spettatori esterni” trovano divertente accusarla a parziale causa dei problemi dell’Italia, ma chi opera e si occupa di questo fondamentale settore sa che le problematiche peggiori emergono in base al contesto ambientale e sociale in cui operano le istituzioni scolastiche.
L’inclusione ha reso la scuola un luogo di riconoscimento delle diversità e delle differenze di tutti i tipi, di incontro e di arricchimento reciproco, di esercizio quotidiano dell’accoglienza dell’altro da sé. La scuola, grazie anche al riconoscimento dei Bisogni Educativi Speciali, che possono essere tali anche solo temporaneamente, è diventata luogo della pluralità dei bisogni, dei talenti, dei modi di apprendere e di essere.
Il percorso per la realizzazione di una scuola compiutamente inclusiva è ancora lungo, dovendo affrontare quotidianamente ostacoli e barriere di tipo fisico, didattico, relazionale e culturale. Le difficoltà sono riconducibili anche alla poca “specializzazione” di una parte del corpo docente sebbene anche la questione della selezione e della formazione degli stessi andrebbe profondamente rivista.
Alla classe con alunni con disabilità sono assegnati docenti specializzati che, in genere, ne sanno anche parecchio di disabilità avendo appunto conseguito un’ apposita specializzazione che ha costi economici non indifferenti e purtroppo non è fruibile da tutto il corpo docente. Anche se non sono specializzati molti insegnanti si formano, in itinere, partecipando a percorsi organizzati dalle scuole o dalle associazioni.
Sul fatto che il docente di sostegno debba essere considerato un docente della classe a tutti gli effetti e non “l’insegnante personale del disabile” non c’è bisogno di dire molto: è vero che spesso in molte scuole e in molte classi si pratica una sorta di “delega” che deresponsabilizza buona parte del consiglio di classe e scarica sul docente di sostegno di compito di “fare inclusione”, ma questa prassi è sempre stata considerata sbagliata anche dalle stesse norme di legge di cui sarebbe il caso di rivendicare il rispetto. Il docente di sostegno deve necessariamente essere esso stesso incluso e valorizzato per la funzione di raccordo, supporto e collaborazione alle lezioni e per tutta la parte di osservazione privilegiata della classe che la sua posizione gli consente.
Sulla questione degli alunni stranieribisognerebbe forse ricordare che oggi nelle scuole italiane la percentuale di alunni stranieri è del 10% (in Lombardia, nel Veneto e in Emilia-Romagna si arriva anche al 25-30%). Non possiamo pensare ad un mondo che indietreggia davanti alla pluralità poiché è nostro dovere abbracciare, conoscere ed inserire la nuova moltitudine che i flussi migratori, spesso dovuti alle guerre che il nostro mondo barbarico ancora produce, ci mostrano quotidianamente.
Teniamo vivo il cuore della scuola, teniamo viva l’inclusione.
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