Capita sempre che per avere un supporto scientifico e credibile, anche nel campo delle rilevazioni sociali, si faccia riferimento ai diversi rapporti pubblicati periodicamente da istituti di ricerca, centri studi, agenzie d’inchiesta, singoli studiosi. E’ terribile e desolante constatare da calabrese, come, nel caso della Calabria, nonostante i diversi metodi di lettura, i differenti ambiti di indagine, perfino le differenziazioni politiche, che anche le scienze sociali non sono neutre, si approdi sempre ad una conclusione: la Calabria è in profonda regressione demografica, economica, sociale, culturale, democratica.
Scriveva pochi mesi fa il “ rapporto Crea”: “Sanità Calabria agli ultimi posti”. Il Rapporto della Banca d’Italia 2023 sottolineava: “l’attività economica in Calabria sarebbe cresciuta del 3 per cento rispetto al 2021, un dato tuttavia inferiore a quello registrato nel Mezzogiorno e in Italia e ancora insufficiente a consentire il recupero dei livelli pre-pandemia, che sono stati invece superati nelle aree di confronto”.
Sulla stessa scia “il rapporto Inps sulla Calabria 2023”. Per ultimo, nei giorni scorsi, il rapporto Svimez 2023 sull’ “economia e la società nel Mezzogiorno” ha presentato un quadro a tinte fosche: “Cresce la povertà assoluta e relativa, si riducono i servizi offerti ai cittadini; diminuisce il tasso di occupazione, aumenta il divario con le aree del Nord del Paese, accelera il crollo demografico della Calabria”.
Io penso che questi dati, che sono pubblici e spesso vengono presentanti in importanti eventi alla presenza di autorità delle Istituzioni ad ogni livello, a qualcosa debbano pur servire? A cosa servono se poi si fa finta di nulla e si continuano a perseguire politiche pubbliche e scelte completamente avulse in relazioni ai problemi concreti? Ovviamente è una domanda che può apparire retorica, se non banale. Tuttavia è evidente la discrasia tra ciò che viene proposto ai vari livelli di Governo del Paese, da quello centrale a quello regionale, con la realtà concreta quotidiana con cui fanno i conti i Calabresi e non solo.
Ai miei occhi appare certo che c’è una precisa volontà di abbandonare la Calabria, forse l’intero Mezzogiorno al suo destino. Hanno questo segno le proposte di carattere istituzionale nell’agenda del Governo, dall’autonomia differenziata, all’elezione diretta del presidente del consiglio. Cosi come anche quelle economico-sociali, come il taglio del Rdc, la continua precarizzazione del lavoro, il peggioramento dei requisiti per l’accesso alla pensione, l’assenza di qualsiasi politica occupazionale, di contrasto all’inflazione e di sostegno ai salari. Perfino l’insistenza nel voler negare l’esistenza di un gap infrastrutturale in relazioni alle reti di mobilità, telematiche, sociosanitarie, perseverando nell’assurda proposta di voler costruire il ponte sullo stretto, va in questa direzione. In questo scenario apocalittico, chi può o chi pensa ad un futuro diverso va via ed è un “Inverno demografico” quello che sta gelando la Calabria. Denatalità ed emigrazione sono diventate una miscela esplosiva che produce spopolamento, soprattutto delle aree interne e rurali, abbandono. E ad andar via, com’è del tutto evidente, sono soprattutto i soggetti in età lavorativa – quelli tra la fascia 18-39 anni – che riducono fortemente la capacità reddituale complessiva della regione. Non si dimentichi che nonostante ciò, la Calabria detiene il record del più alto tasso di disoccupazione, nonché quello dei salari medi più bassi.
Disoccupazione, inoccupazione, precarietà, hanno una diretta incidenza sulle condizioni pensionistiche e sul futuro di una delle “maggiori fonti di reddito presenti in Calabria”: le pensioni appunto. Troppe le sperequazioni di genere, territoriali, registrate che si traducono anche nei valori differenti tra le pensioni medie percepite in Calabria rispetto al resto del paese. Una realtà diventata insostenibile, che avrebbe bisogno di una politica pubblica “ordinariamente diversa” se non opposta a quella in atto. Chi può metterla in campo ? Ciò che si vede dell’azione di governo della Regione è desolante. Oltre la propaganda e gli annunci non si va, concentrato com’è il presidente Occhiuto a condividere col governo nazionale politiche e logiche economiche, non dimenticando che al governo della regione con lui ci sono i rappresentanti della Lega nord.
Manca una forte opposizione politica, l’opinione pubblica, pur sufficientemente consapevole della situazione, ammorbata da una informazione spesso servile, non riesce a produrre pressione per il cambiamento. Restano solo alcune forze sociali in campo che provano a immaginare ed a proporre, anche con la mobilitazione ed il conflitto sociale, altre soluzioni, non prese in considerazione. Si avverte un senso d’impotenza e di ineluttabilità. La percezione è di smarrimento, di richiusura in logiche egoistiche che certamente non favoriscono il cambiamento. Spero non prevalga lo scoramento!
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