Mario e Dora sono persone con un’energia rara che con la loro lungimiranza hanno creato cose davvero incredibili. Sono nel mondo dell’arte dagli anni ’70 e hanno conosciuto e conoscono i più grandi artisti internazionali. Mario e Dora sono un pezzo della nostra storia ancora tutta da scrivere. Se dovessi trovare una parola chiave che li possa descrivere userei il termine insieme: nel 1979 fondano la Galleria Pieroni a Roma, nel 1991 aprono Zerynthia, Associazione per l’Arte Contemporanea, nel 2001 danno alla luce RAM radioartemobile, piattaforma per l’arte contemporanea con sede a Roma, dedicata alla ricerca sonora e ad un’attività espositiva e anche a RAM LIVE, una web radio in streaming, nel 2017 costituiscono la Fondazione No Man’s Land. Ricevono entrambi il titolo di Commendatore della Repubblica dal Presidente Giorgio Napolitano nel 2013. Una vita passata insieme a ideare, dare forma alle idee e costruire qualcosa che rimarrà nel tempo, come il loro nuovo progetto di Calcio e Arte con un accordo con la FIGC.
Mario e Dora quando siete entrati nel mondo dell’arte e come?
Mario: Siamo due persone diverse, ognuno è entrato nell’arte nella sua maniera particolare. Io ci sono entrato perché ho sentito e ho visto che l’arte poteva offrirmi una vita la cui asticella poteva essere spostata sempre più su. L’arte è un mistero che ti fa capire la vita, se non conosci l’arte non conosci la vita; la vita è un dono che abbiamo e che va vissuto in maniera esponenziale.
Il mio lavoro nell’arte inizia a Pescara nel 1970 con due progetti collegati all’azienda di famiglia, situata in un palazzo nel centro della città. In seguito, in società con mia cugina Federica Coen, mi sono dedicato alla riproduzione dei mobili e arazzi di Giacomo Balla, in accordo con le figlie dell’artista, Luce ed Elica. In quel periodo, mentre nel laboratorio di restauro interno all’azienda, si dipingono i mobili di Balla, gli arazzi – che l’artista aveva sempre voluto realizzare, senza mai riuscirci – vengono prodotti dall’Arazzeria Pennese di Fernando Di Nicola.
Negli stessi anni (1970-72), su ideazione di Getulio Alviani nasce Dal mondo delle idee. L’intenzione era quella di creare spazi artistici in cui era possibile vivere, un discorso allora probabilmente prematuro che ho ripreso recentemente. A Palazzo Coen e Pieroni collaborava con me Lucrezia De Domizio, mia amica d’infanzia, che in seguito aprirà un suo spazio di arte autonomo a Pescara. Mario Ceroli mi fece entrare in contatto con i diversi artisti che parteciparono al progetto, come Getulio Alviani, Jannis Kounellis, Laura Grisi, Scheggi e altri. Ceroli fu molto generoso con me e con Ettore Spalletti che allora era un artista sconosciuto ma per me molto prezioso per i suoi consigli e la sua visione. Condividevo con lui un appartamento di fronte al mare a Francavilla, luogo di incontro dei tanti artisti (Boetti, Kounellis, Calzolari ecc..), fotografi d’arte (giorgio Colombo) galleristi (Paola Betti) ecc., che facevano parte di questa atmosfera conviviale che ha reso possibile la realizzazione di vari progetti.
Mi ha sempre affascinato questa energia straordinaria emanata dagli artisti, ognuno di loro con la sua prospettiva unica e così diverso dagli altri. Con gli artisti bisogna fare un passo indietro non un passo avanti, bisogna stargli dietro perché l ‘artista non ti imbroglia mai, sono loro che ti mostrano la strada da percorrere. Ecco perché ho sempre seguito i loro consigli.
Dora: Sono entrata nel mondo dell’arte contemporanea per un colpo di fulmine, ed è stato proprio per Mario Pieroni. Ho incontrato Mario casualmente e mi è piaciuto da subito, un vero colpo di fulmine. In quel periodo, ero pienamente coinvolta nel femminismo e avevo fondato con alcune colleghe, tutte accademiche, “Nuova DWF – Donna Woman Femme”. la prima rivista di feminist studies in Italia.
La prima sera che siamo usciti insieme ricordo che Mario mi ha chiesto:” Ma perché non apriamo una galleria insieme?” E per me era come se dicesse: “Ho una casa su Marte, andiamo a vivere lì”. Quello che lui mi ha proposto poi è accaduto veramente, insieme abbiamo aperto la Galleria Pieroni a Roma.
Un altro colpo di fulmine l’ho avuto presto anche per l’arte contemporanea. Il mio background includeva sei anni di studi di sociologia, tra Berna, Berlino e poi Parigi, dove ho studiato sociologia marxiana con Gurvich. Questa formazione mi aveva fornito una lettura specifica della realtà. Quando ho fatto ingresso nell’arte contemporanea, ho capito che i fenomeni sociali e politici potevano essere visti in una prospettiva diversa e questo mi ha affascinato intellettualmente. La mia fortuna è stata che attraverso Mario presto ho conosciuto alcuni grandi artisti che nonostante fossi autodidatta nel campo dell’arte erano intrigati a parlare con me. Avevo inoltre un’esperienza precedente nel mondo del teatro con Joan Littlewood e con la fondazione insieme a due amici del “Café Théătre de l’Odéon” a Parigi a metà degli anni ’60.
Dal 70 a oggi tanti fenomeni sociali sono cambiati e con essi l’arte che gli e ha sempre dato voce. Oggi l’arte contemporanea cosa dice e cosa ha da dire nel futuro?
Dora: Vorrei risponderti con uno statement di Gertrude Stein, scrittrice ed amica di Picasso contenuta in un libricino dal titolo Picasso e che afferma che gli unici che veramente sono capaci di vivere il presente sono gli artisti, perché tutto il resto dell’umanità vive con la testa nel passato. L’artista ha un ruolo essenziale perché vivendo nel presente è capace di presagire il futuro.
Mario: Vengo da una società che conosco bene avendo iniziato come imprenditore, capisco le regole del mercato che però non dovrebbero condizionare il mondo dell’arte. Quando negli anni ‘80 durante una mostra o una fiera un’opera veniva acquisita a noi sembrava così strano e ci chiedevamo anche come mai questo fosse accaduto.
Dora: Voglio precisare che noi non abbiamo niente contro il mercato che è necessario, non abbiamo un atteggiamento moralistico, ma vediamo nelle spinte del mercato un rischio per la creazione artistica. L’artista nella sua intimità e nella sua ossessione va avanti sentendo il presente e proiettandolo nelle opere mentre il mercato fa delle precise richieste. E oggi temiamo di avere una giovane generazione artistica molto condizionata. Negli anni ’70 era molto diverso perché il mercato praticamente non esisteva; oggi dobbiamo difendere la specificità della ricerca artistica.
Veniamo al Calcio e arte un connubio che può suonare strano in apparenza. Come vi è venuto in mente?
Mario: sono sempre le persone che si incontrano, i compagni di strada, con i quali si creano insieme le cose. Vale anche per il connubio Arte e Calcio. La prima volta questi due mondi si erano incontrati Il 28 agosto alle 20:45 allo Stadio Olimpico di Roma (campionato 2010 – 2011) con l’incontro Roma – Cesena. Prima della partita ha avuto luogo la performance LOVE DIFFERENCE di Michelangelo Pistoletto per la pace nel mondo organizzata e curata da RAMradioartemobile, con la telecronaca di Bruno Pizzul. Prima dell’evento pensavo ci tirassero i pomodori e invece sugli spalti le persone erano presenti e interessate. Erano più di 20.000 e tutte avevano capito che stava accadendo qualcosa che era rivolta anche a loro. Le persone sono migliori di come uno pensa con pregiudizio.
Mario, perché il calcio è arte?
No non è che il calcio è arte, ribaltiamo la questione: il calcio come veicolo per fare un’opera d’arte. Per Michelangelo Pistoletto le due squadre di calcio si incontrano nel campo, non si scontrano e per questo motivo il simbolo della sfera è inteso come segno di pace, di gioco, di incontro degli opposti.
La Figc vi ha dato sostegno e aperto le porte a questo progetto. Come si sviluppa?
Mario: La FGC ha incaricato Zerynthia, associazione per l’arte contemporanea, di cui sono Presidente, di curare per 2 anni un’attività artistica all’interno di Coverciano in cui il calcio e l’arte si incontrano.
Gli artisti che decidiamo di coinvolgere in questo progetto sono aperti al dialogo tra arte e calcio. ecco perché siamo partiti con Michelangelo Pistoletto per i primi 6 mesi durante i quali abbiamo invitato le scuole e le università a partecipare attivamente.
Abbiamo già in mente anche il prossimo artista che inviteremo a Coverciano.
Dora: Io ho una posizione più critica verso il calcio. Da femminista vedo le donne respinte in un ruolo di spettatrici mentre noi con il femminismo volevamo portarle all’autodeterminazione, renderle protagoniste. Ho parlato anche con Michelangelo Pistoletto di queste mie perplessità. Non si risolve il problema con il calcio femminile. Io non parlo del calcio dei ragazzini che si fanno il pallone con gli stracci, come avviene negli ambienti poveri in Africa, ma anche in Europa, dove il calcio è veramente gioco. E il gioco è educativo, è fondamentale per la crescita e non solo per gli esseri umani, anche i cuccioli giocano.
Quando invece vedo il calcio “istituzionale” per me la questione cambia perché vedo sì un’operazione diciamo pacificata che però parte pur sempre da una mentalità di guerra dove domina la forza. Come donna vorrei avere un mondo con altri valori, in cui sono più importanti la grazia e la precisione rispetto alla rincorsa della velocità fine a sé stessa e di un atteggiamento di predominanza. Il calcio dovrebbe ritrovare i suoi valori iniziali e sociali.
Come può il calcio e l’arte salvarci da certe brutture contemporanee?
Dora: Forse proprio con i giovani. Credo molto alla didattica e nel valore del gioco, ma non è detto che non si possano cambiare le regole del gioco e forse è arrivato il momento di cambiarle.
Mario: Trovo che il calcio sia qualcosa di straordinario perché coinvolge il mondo. Mi ricordo di quando giocavo con la palla fatta di stracci per la strada subito dopo la guerra. Rimane come qualcosa che unisce le persone, è un’occasione, è uno spazio e io ringrazio il Presidente Gravina che mi ha offerto questa possibilità di misurarmi con un luogo che ha delle grandissime contraddizioni ma non solo quelle. È importante portare la nostra mentalità, noi portiamo sempre l’arte nei luoghi.
Il fatto di stare a Coverciano che non è il museo, non è la galleria non è un luogo in cui la gente può entrare pubblicamente, ecco a me piace questo perché portiamo lì i ragazzi e gli facciamo conoscere la nostra visione credo anche io che ci sarà una risposta positiva a tutto quello che facciamo.
Foto di Copertina di Fabrice Hyber