Celebrare le giornate dedicate, ogni giorno ce n’è una, è diventato il segno distintivo di questo tempo: a voler sottolineare che è necessario dover ragionare ancora sul rispetto della “diversità”, della parità, dei diritti altrui, valore che invece dovremmo aver acquisito e interiorizzato come atavico e propriamente “umano”, più o meno da quando Terenzio ci spiegava che se “siamo umani, nulla di ciò che è umano ci è straniero”, o Virgilio ci raccontava la storia di un eroe che non era né forte, né astuto, ma “pietoso”, che vale a dire “empatico” verso i suoi simili, verso la sua gente, verso la sua terra. Verso le donne e verso i bambini.
Ed è vero, è proprio necessario, se il mondo politico, all’indomani del centoseiesimo episodio di femminicidio perpetrato quest’anno, si solleva unanime a chiedere di introdurre a scuola l’ora di “affettivita'”, esprimendo la risibile convinzione che l’affettivita’ abbia uno statuto suo proprio, e non rientri invece nell’ epistemologia di ogni disciplina, quando, nel trasferirla agli studenti, si agisce un cambiamento sulla loro interiorità.
Il pretesto, nel mezzo delle interrogazioni in storia, ce lo offre un evento occasionale: un collega che entra in aula per offrirmi una tazza di caffè. Lui reagisce con uno sguardo torvo, e con una frase smozzicata tra i denti. Quando poi ritorniamo soli, esprime con toni accesi – lui che in genere mostra una gentilezza ed un’ educazione superiore al normale – il suo disappunto verso una manifestazione gratuita di cortesia nei miei confronti, palesando una naturale attitudine al possesso.
Gli chiedo se è così possessivo anche con la sua fidanzata, mi risponde candidamente che lo è, perché le vuole bene e deve proteggerla: – mi capita spesso di uscire senza di lei; lei invece non può farlo, perché è una donna, e si esporrebbe a qualche rischio, o peggio, a qualche attenzione indesiderata.
Interviene un altro, illuminato da una liberalità superiore: se la ami, e ti fidi di lei, devi “renderla libera”.
Prigioniera di un divieto, per qualcuno. Per un altro, “libera”, ma per concessione graziosa, e non per il sacrosanto ed inviolabile diritto di ogni persona -secondo, forse, solo al diritto alla vita – alla libertà.
Il cammino verso la parità di genere è incredibilmente lungo e tortuoso; esso deve passare dall’educazione dei giovani, intesa – tra le altre accezioni – come educazione ad un linguaggio rispettoso della parità.
Foto di Daniel Reche da Pixabay