Noi Mediterranei abbiamo da sempre sentito l’urgenza di comunicare, attraverso gesti, parole, tono della voce. Dobbiamo farci capire e dobbiamo capire gli altri. Abbiamo la necessità di sentirci parte di una comunità, di condividere beni e idee, di comandare ed essere comandati, di fregare e tentare di non farci fregare.
Così dopo il greco, il latino e insieme all’italiano, pirati, commercianti, marinai, pescatori e tanti altri viaggiatori del Mediterraneo hanno costruito giorno dopo giorno una lingua particolare, la lingua franca, il Sabir.
Alcuni studiosi portano la nascita del Sabir a tempi lontani, come testimonierebbe lo Compasso de navigare, il più antico portolano conosciuto datato nel 1250.
Per altri la sua genesi in verità, pare non essere stata tanto nobile: per il professor Guido Cifoletti, docente di Glottologia e Linguistica all’Università di Udine il Sabir, era usato dai pirati musulmani per farsi capire dai franchi, come chiamavano indistintamente gli europei occidentali, ovvero gli schiavi cristiani che formavano la ciurma delle navi, servivano nelle loro case, erano trattenuti in attesa di riscatto oppure ancora, più semplicemente, risiedevano come rinnegati in una delle repubbliche corsare del XVI sec. Algeri, Tripoli o Tunisi. Tra tutte Algeri era la più importante e attorno al 1600 gli europei che vi abitavano a vario titolo erano ben 25000.
La struttura della lingua Sabir è semplice, l’ordine delle parole molto libero e i tempi verbali limitati. E’ composta al 70% da parole veneziane e genovesi, al 10% da parole spagnole il resto da elementi arabi, catalani, greci, occitani, siciliani e turchi.
Era comunque una lingua molto conosciuta in Europa tanto che due grandi commediografi l’hanno utilizzata per far parlare alcuni dei loro personaggi. Carlo Goldoni nel 1759 rappresentò, nell’Impresario delle Smirne, Alì, un personaggio che si esprimeva in Sabir.
Servitore: Signore, una persona brama di riverirla.
Ali: Star signor? o star canaglia?
Servitore: All’aspetto pare una persona civile.
Ali: Far venir.
Nel 1667 Moliere nella commedia Il Siciliano ovvero l’Amor Pittore rappresenta uno schiavo turco che incontra Don Pedre proponendogli di comprarlo.
Schiavo: Chiribirida ouch alla
Star bon Turca,
Non aver danara:
Ti voler comprara?
Mi servir a ti,
Se pagar per mi;
Far bona cucina,
Mi levar matina,
Far boller caldara;
Parlara, Parlara,
Ti voler comprara?
Don Pedro: Chiribirida ouch alla,
Mi ti non comprara,
Ma ti bastonara,
Si ti non andara;
Andara, andara,
O ti bastonara.
1670 ci fu nel Castello di Chambrod la prima rappresentazione de il Borghese e il Gentiluomo in cui Molière fa dire al Muftì celebri versi in Sabir
Se ti sabir
Ti respondir
Se non sabir
Tazir, tazir
Mi star Mufti: [5]
Nel 1830, ai soldati francesi che si imbarcarono alla volta dell’Algeria per iniziarne la colonizzazione venne dato in dotazione un Dictionnaire de la langue franque ou petit mauresque corredato da un frasario per la vita quotidiana. Ma l’aver sistematizzato il Sabir in un vero e proprio dizionario non l’ha salvato dalla sorte che di lì a poco l’avrebbe fatto svanire. Infatti il 1830 segna il declino fino all’oblio della lingua Sabir a favore di una francesizzazione del Mediterraneo.
Da giovane avevo guardato con simpatia l’Esperanto, una lingua composta da latino, lingue romanze, germaniche e slave. Non ero andata più in là di qualche sporadica lezione, forse la sua natura puramente intellettuale, non viva, non era riuscita a far funzionare le mie sinapsi. Ma il desiderio di una lingua comune che contenga parole di differenti popoli, una piazza morfologica viva e colorata, è sempre rimasto in me.