L’ultima corsa di Carletto Mazzone, l’allenatore amato da tutti i tifosi. Se chiedete a un appassionato di calcio chi è l’autore della corsa più iconica della storia del calcio non vi ripondera Baggio, Del Piero, Totti ma quasi sicuramente farà il nome di Carletto Mazzone. Quella sua corsa, il 30 settembre del 2001, verso la curva dell’Atalanta in segno di rivincita per il pareggio acciuffato dopo il novantesimo, al termine di una incredibile rimonta, e per restituire ai tifosi bergamaschi tutti gli insulti ricevuti durante la partita è rimasta negli occhi e nel cuore dei tifosi e appassionati di calcio, e non solo. E ancora oggi è quello che si dice un meme che imperversa sui social. Quelle immagini sono simbolo di riscossa e ci dicono che la partita, anche nella vita, non è mai chiusa, se non quando l’arbitro fischia la fine.
Carletto Mazzone, il “Sor Magara”, come lo chiamavano per una sua tipica espressione, se n’è andato lo scorso 19 agosto, ultimo eroe di un calcio che non tornerà più, lontano anni luce dal dorato pallone degli ingaggi multimilionari arabi. Mazzone aveva un carattere sanguigno e autentico, non era un allenatore “mediatico”, ma conquistava con la sua schietta simpatia, interprete di quel calcio di provincia che bada al sodo. Pragmatismo, certo, ma anche, umanità e valori genuini di leale sportività.
E di provincie Carletto ne ha girate parecchie i per 38 anni di carriera nei quali ha stabilito il record di panchine nella storia del calcio italiano con più di 1.200 presenze. Trasteverino doc e legato visceralmente a Roma e alla Roma, squadra che, coronando il suo sogno di sempre, allenò per tre anni dal 93 al 96. A lui, in quegli anni, va il merito di aver fatto debuttare un giovanissimo Francesco Totti, che alla notizia della scomparsa dell’antico maestro ha espresso parole di gratitudine. “Padre, mister, maestro. Semplicemente Carlo Mazzone. Eternamente grazie, mister”.
Ma il nome di Mazzone è indissolubilmente legato anche alla città di Ascoli dove prima da calciatore e poi da allenatore, a partire dal 1968, divenne idolo e simbolo della squadra bianconera, e il cui presidente era un certo Costantino Rozzi, un tipo altrettanto vulcanico e sanguigno come il Sor Magara. Mazzone portò la squadra bianconera dalla serie C alla massima serie e a lui, nello stadio di Ascoli è stata dedicata una tribuna. Non solo Roma e Ascoli però se è vero che Mazzone ha girovagato l’Italia, spesso chiamato a salvare squadre a rischio retrocessione o a portarle alla promozione.
Per lui, tra le altre: Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Cagliari, Napoli, Brescia, Perugia. Lo fece sempre senza risparmio da gran professionista, lasciando ovunque una traccia di affetto nei tifosi Definirlo però solo alfiere del calcio di provincia è riduttivo. A lui devono qualcosa i più grandi interpreti del pallone moderno. Pep Guardiola, l’allenatore del multimilionario Manchester City, squadrone o del campione d’Europa, non ha mai nascosto la sua gratitudine per il Sor Magara, che fu suo allenatore nell’ultima fase della sua carriera di calciatore a Brescia. E Roby Baggio il Divin Codino, che da Mazzone fu rilanciato, sempre a Brescia, città dove l’allenatore romano lo convinse a trasferirsi pur non essendo compagine blasonata. E fu amore, tanto che Baggio inserì come clausola del suo contratto che avrebbe lasciato la Leonessa se Mazzone fosse stato esonerato. E non dimentichiamo, ancora, che in quel di Brescia Carletto Mazzone si inventò il Pirlo nel ruolo di playmaker, come poi lo avremmo visto per il resto della sua carriera, da campione del Mondo, campione di tutto. Di scudetti Mazzone non ne ha vinti, ma ha ottenuto la Panchina d’oro alla Carriera nel 2002 ed è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano. E soprattutto, ha vinto il premio più importante: lasciare il segno nel cuore di chi ama il calcio e l’autenticità, qualunque fede calcistica abbia.
Grazie Sor Carletto.