Nel 2015, l’ONU ha approvato “Agenda 2030”, un oggetto allora misterioso per il cittadino comune e che i cittadini italiani (e non) hanno imparato a conoscere negli anni successivi.
L’obiettivo 11 di “Agenda 2030” (“Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili”) si articolava in alcuni sotto-obiettivi molto delicati e ambiziosi, come il settimo: “Entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili” (sotto-obiettivo 11.7). Lo stesso obiettivo stabiliva poi che Stati e Amministrazioni locali devono “supportare i positivi legami economici, sociali e ambientali tra aree urbane, periurbane e rurali rafforzando la pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale” (sotto-obiettivo 11.a), e poi che “entro il 2020, (devono) aumentare considerevolmente il numero di città e insediamenti umani che adottano e attuano politiche integrate e piani tesi all’inclusione, all’efficienza delle risorse, alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici, alla resistenza ai disastri, e che promuovono e attuano una gestione olistica del rischio di disastri su tutti i livelli, in linea con il Quadro di Sendai per la Riduzione del Rischio di Disastri 2015-2030” (11.b).
In quell’anno (negli stessi mesi si stava pronunciando Papa Francesco con la sua Enciclica dal titolo “Laudato sì”) tali obiettivi e sotto-obiettivi apparivano a molti italiani e meridionali radicali, eco-centrici e ‘difficili’ ma comunque nel campo del plausibile e del riscontrabile nell’esperienza di vita del cittadino medio (tutto il movimento di Genova 2001 era passato invano, evidentemente).
Se fosse stato pubblicato un testo (di natura divulgativa ma anche accademica) dal titolo “Cambiamento climatico e salute mentale”, invece, sarebbe apparso – non a molti, ma a tutti- un titolo troppo radicale, troppo ecologista (per i lettori del giornale Libero troppo “gretino”) e del tutto im-plausibile in quanto non riscontrabile nella esperienza di vita del cittadino medio (nonostante la torrida estate del 2003, poi dimenticata).
Nel settembre di 8 anni dopo quel testo uscirà e nessuno lo potrà, con scioltezza, liquidare come testo “gretino” o implausibile.
Il luglio 2023, infatti, come già il maggio dello stesso anno in Romagna, ha dimostrato plasticamente come il cambiamento climatico sia effettivo, pervasivo, dannoso e inarrestabile: si pensi al fuoco e al dramma siciliano dei giorni 22-26 luglio in parallelo al dramma opposto lombardo e milanese.
Stante così le condizioni della vita collettiva rispetto al dramma del cambiamento climatico nella vita delle aree urbane, le città italiane (al nord, al centro e al sud) come stanno reagendo?
Quali scelte politiche e collettive stanno assumendo per adattarsi e mitigare gli effetti del cambiamento climatico legato alle correnti (e alle temperature in quota) che assume le vesti ora della siccità, ora delle alluvioni, ora delle “bombe d’acqua”, ora delle “bolle urbane di calore”, ora del mare caldo che eutrofizza e cambia colore passando dal blu al verde?
In teoria il PNRR dovrebbe finanziare, anche cospicuamente, gli “investimenti verdi” e gli “investimenti blu” (gestione del verde, delle risorse zoo-agro-forestali, della mobilità privata e collettiva, gestione delle acque interne e delle reti idriche) utili alla mitigazione e all’adattamento climatico urbano, tali da consentire che ogni città possa tendere al meglio, non raggiungere, gli obiettivi e i sotto-obiettivi in apertura indicati (quelli del Goal 11, ma anche i Goal 6, 7, 12, 13 e 15 dell’ “Agenda 2030” in parte transitati nelle cd. “Agende Urbane”).
In pratica, ad un’osservazione attenta e non superficiale, il monte e la finalizzazione di simili “investimenti verdi/investimenti blu” delle amministrazioni regionali-locali, sotto la vigilanza e il controllo degli apparati ministeriali di settore ambientale-energetico e infrastrutturale, sembrano oggi una chimera, o un sogno che svanisce al mattino dopo aver incantato nella notte gli aedi dell’ Eccellenza italiana.
Infatti tra i grandi problemi strutturali dell’Italia, oltre che il debito pubblico e la collocazione internazionale, vi è oramai, da numerosi anni, il livello della vita nelle aree urbane e l’attuazione dell’Obiettivo 11 citato che mira – ricordiamolo – a: a) ridurre l’inquinamento pro capite prodotto dalle città (in particolare per quanto concerne la qualità dell’aria e la gestione dei rifiuti prodotti); b) rendere lo sviluppo urbano più inclusivo e sostenibile grazie anche a una pianificazione degli insediamenti partecipativa e integrata; c) garantire l’accesso per tutti i cittadini a “aree verdi” e spazi pubblici sicuri e inclusivi (soprattutto per donne e bambini, anziani e persone con disabilità); d) assicurare l’accesso a spazi abitativi e sistemi di trasporti sicuri ed economici per tutti.
A fronte di tali ambiziosi sogni del documento internazionale ed europeo, in Italia, la gestione concreta del PNRR 2021-2027, arrivato quasi a metà del suo corso, potrà smentire le osservazioni critiche sopra indicate.
Ce lo auguriamo non solo per le Città e le Aree Urbane in quanto tali, ma soprattutto per le comunità umane che le vivono, per le future generazioni e per la qualità della vita delle attuali generazioni che non dovrebbero vivere in quegli “inferni urbani” quali rischiano di diventare le città italiane al tempo del cambiamento climatico e delle inattuate “Agenda 2030” e “Agenda Urbana Europea” (che sulla Direttiva “Casa Green” e sulla legge di “Restaurazione Natura” continua pur sempre a battere un colpo!).
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