On. Pino Bicchielli, VicePresidente gruppo Noi Moderati – Camera dei Deputati
Componente Commissione Difesa – Componente Commissione Antimafia
On. Bicchielli, negli ultimi due anni, debellata la pandemia, abbiamo in molti pensato che si aprisse per l’Occidente una fase interlocutoria dei rapporti internazionali e invece stiamo assistendo ad uno sconvolgimento degli equilibri geopolitici. Quali sono secondo lei gli elementi ai quali porre più attenzione?
Quando si guarda alle dinamiche geopolitiche non si devono mai dimenticare i fattori economici. Attualmente un elemento determinante è la transizione ecologica che sta mutando radicalmente gli equilibri. Basti pensare alla riduzione dell’utilizzo del gas naturale nell’Unione europea e alla sempre maggiore diffusione della mobilità elettrica. Questo vuol dire ridurre la dipendenza dalla Russia e aumentare la dipendenza dalla Cina, in termini di componentistica e materie prime. Le conseguenze non si riducono ai paesi direttamente coinvolti, ma sono globali. E le attuali tensioni lo dimostrano. Dunque anche nelle politiche nazionali di transizione Green dovremmo considerare sempre di più i fattori internazionali.
Rispetto al conflitto russo-ucraino la posizione italiana appare netta e chiara: atlantismo e appoggio all’Ucraina. Ritiene che la nuova iniziativa vaticana per il rilancio di un dialogo verso la pace possa rappresentare un punto di svolta?
Il concetto è che la pacificazione dell’area passa dal sostegno alla resistenza Ucraina, altrimenti non sarebbe pace ma occupazione. Detto ciò ritengo che sia doveroso guardare con interesse, e anche avviare, ogni iniziativa di mediazione. Quella cinese ha mostrato tutta la sua debolezza nel voler considerare russe tutte le aree occupate dall’aggressore. L’iniziativa vaticana è nelle mani del Cardinale Zuppi che in passato ha già lavorato con successo nel complicato contesto del Mozambico. L’augurio è ovviamente che possa portare ai risultati sperati.
Onorevole, lei fa parte della Commissione Difesa, questo è un settore in forte cambiamento. Gli investimenti in innovazione nel sistema della difesa e della sicurezza possono avere un effetto di traino sull’economia?
Gli investimenti in difesa sono sempre ad altissima innovazione e possono spingere allo sviluppo di importanti settori della tecnologia avanzata. L’industria militare presenta delle grandi eccellenze nel nostro Paese, sia fra le grandi aziende controllate che nel privato. Oggi la sicurezza è soprattutto cyber e riguarda dati e servizi al cittadino. Non dobbiamo pensare che si tratti solo di armamenti. La difesa delle telecomunicazioni o l’applicazione dell’intelligenza artificiale, ad esempio, per i nuovi sensori radar, faranno da apripista ad altri usi civili.
Qual è l’attuale panorama europeo della difesa?
Il dibattito è avviato e segue l’indirizzo definito dalla Bussola Strategica. La crisi in Ucraina ha in parte accelerato ed in parte frenato il processo che tende verso la definizione di un maggior coordinamento delle forze e degli investimenti militari. Ritengo sia sempre più necessario dotare l’Europa di strumenti essenziali, anche di deterrenza, per agire nello scacchiere internazionale da potenza mondiale quale merita di essere.
L’Unione europea da un lato sta manifestando forte coesione su alcune decisioni, com’è avvenuto nelle scelte sanitarie durante la crisi pandemica ma anche di fronte all’aggressione russa all’Ucraina, dall’altro lato i segni di debolezza sono molti. Su temi importanti come i cambiamenti climatici, la rivoluzione digitale, l’affermarsi di nuovi paesi sulla scena globale, le diseguaglianze sociali, servirebbe un sentimento di unità più forte? Cosa manca?
Ciò che manca all’Europa è un salto di qualità a livello politico. Non è facile però costruire un’Unione che sia più forte senza fagocitare le nazioni che la compongono. Nessuno dei paesi europei ha voglia di perdere e diluire la propria identità in quella europea. Sono insiemi che insistono l’uno sull’altro: io sono europeo ma mi sento prima di tutto italiano. È però un percorso possibile ed obbligato. Ho ancora però qualche dubbio sul versante economico. La lentezza iniziale nella risposta alla crisi energetica la dobbiamo ai diversi interessi nazionali: dalla Spagna, autonoma rispetto all’Europa, alla Germania, fortemente dipendente dalla Russia, fino ai paesi nordici produttori di gas. Non è stato facile arrivare in queste condizioni all’accordo sul price cap.
Onorevole Bicchielli, la nostra testata giornalistica si chiama Europa domani e per concludere la sua intervista Le vorremmo chiedere proprio qual è per lei l’Europa di domani?
L’Europa di domani dovrà essere protagonista degli scenari internazionali e leader dell’innovazione tecnologica e green. Per farlo dovrà rafforzarsi nella sua struttura istituzionali e nelle regole interne, superando per esempio la condizione del voto unanime. Ma dovrà soprattutto agire in maniera più lungimirante nella definizione degli equilibri economici mondiali. L’Europa ha esternalizzato troppo negli anni, dalla produzione agli approvvigionamenti. In particolare non dobbiamo rendere la trasformazione energetica un vicolo cieco verso una più forte dipendenza dall’estero. Sono sfide importanti, dovremo essere in grado di vincerle.