È capitato spesso negli ultimi giorni che, singolarmente o collettivamente con studenti, amici e colleghi, ci si soffermasse per qualche minuto a parlare di “femminicidio”, un termine coniato agli inizi degli anni Novanta per indicare violenze e soprusi fisici e psicologici che portano alla morte di una donna per mano di un uomo, del mostro terribile che giurava fino a poco prima di amarla a vario titolo.
Giulia Tramontano, l’ultima delle tante, conosceva bene il suo aguzzino, il padre del bimbo che aveva in grembo, ma non è riuscita a scappare da un amore malato che ha massacrato lei e il suo bambino.
La storia ci lascia alla cronaca una lunga serie di femminicidi. In epoca romana si passa da Apronia defenestrata, narrata da Tacito, ad Annia Regilla che, nella Roma imperiale, viene uccisa a calci a soli 35 anni sebbene incinta e all’ottavo mese di gravidanza (e quanto ci ricorda Giulia!)
Come non citare Francesca da Rimini, dantesca e fragile creatura che, sebbene relegata alle pene infernali ottiene di trascorrere il suo tempo ultraterreno con l’amato Paolo a controprova che, anche Dante, rimase colpito e, forse contrariato, dal delitto di questa donna uccisa a colpi di spada nel Medioevo dei Castelli.
In pieno Rinascimento ricordiamo la storia di Isabella di Morra, originaria della provincia di Matera, uccisa a pugnalate dagli stessi fratelli per aver intrattenuto un carteggio con uno scrittore e letterato spagnolo, unica forma di libertà che si era concessa nel clima di segregazione familiare in cui era costretta.
In età moderna, storicamente parlando, detiene un posto rilevante il periodo denominato della “Caccia alle Streghe”, che si pone a cavallo tra il 1500 e il 1600, con innumerevoli donne finite sul rogo per cause a dir poco improbabili e ridicole, frutto di processi qualunquisti e poco credibili perpetrati da tribunali ecclesiastici fortemente impauriti dalla perdita di “potere” della Chiesa come Istituzione primaria.
In opposizione alla follia dei culti agrari e della stregoneria perseguitati dalla Chiesa, troviamo ai primi del Novecento la storia e il femminicidio di Maria Goretti, poi riconosciuta Santa, che perse la vita appena undicenne per mano del figlio del suo vicino di casa che la stupro’ e la uccise perché rifiutava le sue avance.
Ad oggi i casi di cronaca si susseguono in un diario senza fine. Se, come adulti di riferimento, ci chiediamo se sia colpa degli uomini la risposta non può che essere affermativa.
Se ci domandiamo subito dopo come possiamo prevenire questo tipo di delitti crudeli ed efferati, dobbiamo indagare nel percorso educativo sentimentale che, normalmente, dovrebbe essere a cura della famiglia.
Null’altro, però, può essere addebitato ai genitori se non il buon esempio; l’educazione e la sensibilità verso le donne e gli esseri umani in generale passano attraverso gesti, emozioni e condivisioni quotidiane che si spera portino frutti di gentilezza nelle generazioni future.
Insegnare l’amore è quanto di più difficile possa essere chiesto e donato!
Come insegnante uso spesso questi versi di Montale per spiegare il concetto di amore ai miei studenti certa che anche la cultura possa essere un aiuto per formare uomini e donne consapevoli e responsabili sentimentalmente.
“Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”.
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