Scusate se rido
“La giornata mondiale della risata o World Laughter Day si celebra la prima domenica di maggio.
È una manifestazione per la pace nel mondo, istituita nel 1998 da Madan Kataria, fondatore del movimento internazionale dello Yoga della risata.”
Arriva all’improvviso. Striscia subdola, silente, quasi sussurrata. A volte, la confondi con un respiro, con un singulto, somiglia quasi al pianto. Faticano a reprimerla, o provano a mascherarla, e allora cercano insolite complicità con gli occhi, che quasi implorano una motivazione convincente, un alibi, una scusa.
Altre volte, invadente, esplode. E allora la manifestano, la lasciano scoppiare, e vada come vada.
In ogni caso, interrompe, scompiglia le carte, porta l’attenzione altrove, per un tempo maggiore della sua durata. Dopo, bisogna rimettere tutto a posto, ricominciare daccapo, riannodare i fili spezzati dalla sua forza, che è sempre vigorosa e disarmante.
E’la risata. Non il sorriso, la risata. Non quell’espressione ragionevole di gioia manifesta e fondata, ma quel meccanismo irrazionale, che ci coglie spesso inermi, che non possiamo contenere, che spesso non si spiega, che compare nel petto nelle situazioni più impreviste, meno comode, spesso insolite. Ha un potere devastante, perché si impone, talvolta, nei momenti “gravi” e li ridicolizza, li denuda, facendo apparire la vita quella mascherata che spesso, e nostro malgrado, è.
Quante volte ci succede, mentre siamo in classe. Leggi: Dante, il V canto. Paolo commosso, Francesca accorata. Il viandante di quel mondo insolito che partecipa dell’altrui dolore con tutti i sensi, e partecipa così forte che come corpo morto cade. E a te sembra che partecipi anche l’aria, pesante di silenzio e di sospiri. E sei felice, li hai portati dentro, senti il loro pathos sulla tua pelle e pensi che è questa la forza della letteratura: la sua capacità immaginifica, tale che tutti vediamo e sentiamo la stessa cosa, anche se non è lì, in mezzo a noi. I ragazzi dialogano con gli amanti, li vedono anche se sono invisibili agli occhi, con lo sguardo del cuore; si identificano, sentono insieme a te la forza dell’amore e il ribrezzo dell’ingiustizia. La letteratura ha creato un legame più forte dello spazio e del tempo, siete lì insieme, perfino all’inferno.
E invece no. Uno di loro torna nel qui e ora e vi guarda, affannati e pieni d’angoscia, e percepisce la distanza, proprio nello spazio e nel tempo: è fuori fuoco, lui solo. E così, inevitabilmente, ride.
Ci fa rabbia, di solito. E la sensazione è che la rabbia nasca dalla confusione che quella risata ha creato, quando ha interrotto il silenzio e la tensione. E certamente, in classe, è anche questo: tanta fatica per costruire l’attenzione, e un attimo per distruggerla. E’ anche questo, sì, ma non solo: la risata ci fa arrabbiare perché ci svela, perché apre una crepa nella corazza che ogni giorno ci cuciamo addosso per stare al mondo, e attraverso quella crepa ci lascia intravedere le contraddizioni della nostra esistenza, le nostre piccole enormi incoerenze, le anime doppie, che ciascuno di noi, anche se non lo ammette nemmeno con se stesso, lascia che alberghino dentro di sè.
Leggevamo Pirandello, in quinta. Il saggio sull’Umorismo. È lui che ci ha spiegato la gravezza della risata, quando da avvertimento del contrario diventa “sentimento”: riflessione, dunque, meditazione esistenziale sul senso.
Noi non lo sappiamo, in genere. I ragazzi non lo sanno. E censuriamo la risata, perché ci mette in ridicolo. E invece la risata va celebrata, perché chi ride è intelligente. In senso etimologico: ci legge dentro.
Foto di Lenka Fortelna da Pixabay