“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.”
Questo affermava Robert Schuman, Ministro degli esteri francese, a Parigi il 9 maggio 1950 lanciando, in collaborazione con il consigliere Jean Monnet, l’apparentemente utopistica idea di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio che ponesse fine ai drammatici scontri che avevano portato alla tragedia della Seconda guerra mondiale.
Poche righe di una dichiarazione, poche parole che contengono una idea grandiosa segnando una svolta epocale per i Paesi europei.
Mettere in comune la produzione del carbone e dell’acciaio avrebbe reso una guerra tra Francia e Germania “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.
Nel 1951, un anno dopo il discorso di Schuman, Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo davano così il via alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la CECA, la prima pietra di una costruzione istituzionale avveniristica, tuttora unica al mondo, che ha dato il via a decenni di pace, ma che ancora oggi, purtroppo, siamo costretti a difendere dagli attacchi violentissimi in atto.
“La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio… cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.”
L’idea di Schuman è prepotentemente lungimirante:
“La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.
Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l’Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all’instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni.”
Questa è l’origine della ricorrenza della Giornata dell’Europa, che si celebra il 9 maggio, la data che segna una idea di pace e di unità in Europa rifiutando la possibilità che i lutti e la tragedia della guerra mondiale si ripetesse nuovamente.
La Festa dell’Europa fu sancita a Milano nel 1985 dai capi di Stato e di governo anche per ricordare la data del giorno successivo alla firma della capitolazione nazista. Prima del 1985 la Festa ricorreva infatti il 5 maggio, data della costituzione del Consiglio d’Europa nel 1949.
Dal famosissimo discorso di Schuman mattone dopo mattone ha avuto inizio la costruzione dell’Europa comunitaria, l’unione di Paesi più ricca, ma anche più solida di libertà, diritti, valori, democrazia rispetto a qualunque altra area del mondo.
Oggi, a poca distanza da noi, la guerra in Ucraina conta più di 21.000 vittime civili, più di 8.000 morti e 13.000 feriti, oltre 8 milioni di sfollati, circa 5 milioni di bambini e adolescenti privati del diritto a un’istruzione regolare, oltre 14,5 milioni di personerimaste senza assistenza sanitaria.
Pensiamoci, prima di dire che l’Unione europea è una costruzione sbagliata.
Robert Schuman guardava lontano. Con una capacità prospettica su cui dobbiamo ancora riflettere a lungo, e aggiungeva “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.”
“L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.” Significa che il cammino è ancora lungo ma che non dobbiamo e non possiamo interromperlo. Ce ne dimentichiamo troppo spesso, rischiando di far vacillare la speranza di pace non soltanto per noi europei, ma forse per l’umanità intera.