Il libro di Fernando Pignataro prende le mosse da un’esperienza umana, sindacale e infine politica che diventa quasi un cammino di speranza in un futuro incerto ma ancora su cui puntare e lottare.
Il libro “La passione di una vita”, edito da Le Pecore Nere, ripercorre una vita dedicata alla politica a partire dagli anni giovanili, all’impegno del periodo universitario e all’approdo nel sindacato, una passione mai sopita, anzi alimentata col tempo. Ne viene fuori un intreccio interessante e puntuale di vicende personali e avvenimenti significativi della storia contemporanea: il compromesso storico, l’azione politica di Enrico Berlinguer, l’assassinio di Moro, il terrorismo, il terremoto dell’Irpinia, l’abbandono della solidarietà nazionale, le lotte sindacali, la marcia dei quarantamila a Torino, lo scontro sull’articolo 18, le torri gemelle e il terrorismo internazionale, i congressi della Cgil, le competizioni elettorali nazionali e regionali, il governo Berlusconi fino poi al governo Prodi del 2006.
Una ricostruzione metodica, quasi calendarizzata, dell’esperienza alla guida della confederazione calabrese che racconta il grande lavoro fatto e la centralità assoluta della Cgil nel dibattito regionale, sia dal punto di vista politico che propositivo.
Come nasce il libro “La passione di una vita”?
Nasce da una serie di fattori. La prima, in ordine di importanza è stata la nascita della mia nipotina Alice. Mi sono interrogato su quale regalo originale le potessi fare, su che cosa rendesse indelebili il legame e il ricordo del nonno. Allora ho deciso di regalarle un pezzo significativo della mia vita, del mio impegno e delle mie passioni. La mattina della sua venuta al mondo ho deciso di scrivere il libro. Poi la chiusura in casa per la pandemia ha fatto il resto. Ho raccolto e ordinato articoli, relazioni, interviste e interventi, resoconti di iniziative e convegni, ricordi e immagini di scioperi e manifestazioni, sono andato indietro nel tempo per analizzare questa vita da militante e dirigente. Poi ho cominciato a scrivere, facendomi prendere la mano. Tutto era importante e niente si poteva tagliare. Per questo ne è venuto fuori un lavoro “ampio”, un volume corposo.
Quali passioni descrivi?
Sì, è più corretto dire passioni e non passione, ma la Politica è stata sicuramente il segno della mia vita, alla quale tutto si è sempre collegato. Le passioni per il lavoro sindacale e per la mia organizzazione, la Cgil; la passione per le mie donne, mia moglie e le mie due figlie; la passione per il mio paese e il mio territorio. Soprattutto la passione per l’impegno e la lotta per migliorare le condizioni di vita degli ultimi.
Com’è cambiato il mondo del lavoro?
Da quando ho iniziato il mio lavoro nel Sindacato il mondo del lavoro si è trasformato enormemente. Basti pensare che ad un’organizzazione del lavoro “fordista”, che durava tutta una vita in luoghi dove si producevano beni con l’apporto di migliaia di operai, tecnici e impiegati, si è andato man mano sostituendo un approccio con più lavori durante l’arco della vita lavorativa, con sempre meno addetti e sempre più precarietà. Le nuove tecnologie renderanno col passare del tempo forse ancor più drammatica tale situazione: il lavoro dipendente per tutti non c’è più e non ci sarà in futuro. Una battaglia che sembrava un tempo velleitaria, uno slogan dei comunisti, l’intervento del pubblico (dello Stato) in economia e nel mondo del lavoro è quanto mai necessario per lavori utili, a sostegno delle debolezze e delle fragilità, della cura delle persone e del territorio, per la salvaguardia dell’ambiente e delle ricchezze naturali e artistiche.
Il sindacato ha ancora la stessa importanza e la stessa vicinanza a lavoratori e lavoratrici o tutto è in trasformazione?
Non sempre il Sindacato ha avuto le capacità e la prontezza di leggere il cambiamento con una rapidità eccezionale. Nel mondo del lavoro e nella società tutto è in continuo movimento: rapporti, bisogni, diritti, conflitti e posizionamenti. Noi abbiamo lavorato in periodi in cui il cosiddetto ascensore sociale era punto di riferimento, c’era costantemente un miglioramento del posizionamento sociale e delle condizioni di vita; ora persino il ceto medio, la parte più garantita e protetta, ha subito un impoverimento. Le politiche neoliberiste hanno favorito sempre più i ricchi a discapito del lavoro. Certo il Sindacato ha la stessa, forse anche di più, importanza in un mondo in cui bisogna ristabilire valori, diritti e dignità del lavoro in una situazione più complessa e di difficile lettura. Per ritornare al centro delle battaglie di civiltà e di difesa degli interessi generali, che sono propri della confederalità, la “vicinanza”, il rapporto con il proprio mondo deve essere l’obiettivo primario soprattutto di questa fase.
Quali sono le battaglie per il lavoro più urgenti oggi?
Per le cose che abbiamo detto in modo molto disarticolato, mi pare evidente che la battaglia contro le vecchie e nuove povertà sia centrale nell’azione del Sindacato. Questo implica affrontare con maggiore determinazione una questione che da troppi anni ha una stretta connessione con l’impoverimento delle lavoratrici e dei lavoratori: la questione salariale, che ci vede come sistema Paese fanalino di coda dell’Europa e non solo. L’aumento di salari, stipendi e pensioni, contestualmente a politiche fiscali di redistribuzione delle ricchezze, deve essere l’obiettivo sul quale concentrare maggiormente la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Poi ci sono i diritti conquistati, che bisogna difendere e ripristinare, allargandone la platea a quelli che ne sono stati tenuti fuori.
Infine, la battaglia per difendere l’unità del nostro Paese minacciata da questo Governo e dalla scellerata proposta della cosiddetta “Autonomia differenziata”, che dividerebbe il territorio nazionale tra aree ricche e povere, tra cittadini con diritti e cittadini che ne sarebbero privati, a partire dai beni comuni a partire dai diritti all’istruzione e alla salute.
Insomma, c’è tanto da fare e tanto bisogno di un Sindacato forte, autorevole, determinato e incisivo.