Le ricorrenze non sono tutte uguali. Alcune passano, trascorse tra qualche giorno di vacanza, senza accenno lasciare nelle nostre vite frenetiche, altre ti lasciano invece la sensazione di non aver pensato a sufficienza al loro valore.
Ho sempre legato, fin da bambina, il concetto di libertà alle vacanze estive poiché la bella stagione, il mare, gli interminabili spazi da contemplare, il potersi liberare da maschere e formae mentis cittadine, consentiva al mio piccolo essere di confrontarsi con un diverso e anche nuovo modo sociale, relazionale, storico.
Succede poi, che nei viaggi che la vita ti consente, sempre alla ricerca di pascoliane sensazioni, ti perdi in isole del mediterraneo dove la Storia, quella con la lettera maiuscola, ti riporta a casa. E’ il caso dell’isola greca di Kos, meta frequente dei miei ultimi viaggi, dove puoi passare dall’ammirare antichi resti di storia greco-romana e medievale fino a palazzi e piazze dalla chiara “architettura fascista” che ti portano ad antichi e lontani respiri.
Possedimento “temporaneo” italiano dal 1912 e confermata tale dal 1923 in seguito alla guerra greco-turca, l’isola vive a distanza la storia d’Italia e le sue alterne vicende nel periodo delle due Guerre Mondiali con la relativa fascistizzazione e italianizzazione forzata del territorio, completa di leggi razziali.
In posizione strategica nel Mar Egeo, a pochi chilometri dalla costa turca, l’isola di Kos e il Dodecanneso soffrono, durante il secondo conflitto mondiale, la lontananza geografica, politica e militare dall’Italia e dall’Europa dove il conflitto riserva i suoi orribili massacri.
I 4000 uomini del Regio Esercito Italiano, stanziati nella lontana isola, appaiono provati sia fisicamente che psicologicamente soprattutto dopo la caduta del fascismo e in seguito all’armistizio di Cassibile dell’8 settembre del 1943 (che sancisce la cessazione delle ostilità tra italiani, inglesi e truppe alleate).
Le truppe inglesi che arrivarono a Kos in aiuto degli Italiani mostravano ancora diffidenza nei confronti di quei soldati che, ancora sbandati dagli eventi, facevano fatica a trovare la giusta cooperazione con i nuovi alleati. In poche settimane i Tedeschi, riorganizzati a Rodi, assaltarono le truppe italo-inglesi dell’isola e fecero tutti prigionieri. Erano i primi giorni di ottobre del 1943.
Separarono 103 ufficiali italiani e, con la scusa della deportazione, li fucilarono in un eccidio simile a quello eseguito pochi giorni prima a Cefalonia, isola delle Ionie, sempre possedimento italiano.
E così, mentre visiti a Kos il cimitero cattolico, ti imbatti in lapidi di giovani soldati senza nome, in una breve scritta che ricorda i circa 67 resti di corpi recuperati…
Abbiamo atteso 75 anni dall’eccidio nazista per rendere parzialmente onore ai militari italiani uccisi con una lapide che riporta i loro nomi, ma ancora molta strada dobbiamo percorrere perché la Libertà e la Liberazione non restino parole sospese nell’aria e nel vuoto della storia.
La libertà passa per il riconoscimento degli errori e delle debolezze umane, la libertà passa per il ricordo.
La Liberazione sarà compiuta quando non parleremo più di “Armadio della vergogna” e nessun fascicolo riporterà alla luce la follia bellica di cui l’umanità ancora si macchia.
Credits di copertina: Foto di Greg Montani da Pixabay