Parlare di maternità surrogata significa comprendere il valore e il significato di due parole – madre e figlio – tanto sacralizzate quanto dissacrate. L’emancipazione neomoderna e globalizzata ci ha ormai abituati agli eccessi, infatti, ciò che un tempo era un dono, oggi è un diritto e, ciò che un tempo era un diritto, oggi è una pretesa. Un figlio in sé stesso non richiama un diritto se non nella misura in cui rivendica giustamente una famiglia dove crescere, acquisire dei valori e ricevere sostegno e protezione. Il nodo della questione riguarda proprio il significato dei diritti e, soprattutto, dei doveri.
Quando si affrontano tematiche come la vita, la maternità e “i nuovi diritti”, si ha la consapevolezza di camminare su un terreno scivoloso in cui qualsiasi posizione appare dogmatica, se non addirittura irrispettosa della dignità della persona. È per questo motivo che intendiamo, per quanto ci è concesso in questa sede, fare un po’ di chiarezza.
La surrogazione di maternità, maternità surrogata, gestazione d’appoggio o gestazione per altri (spesso abbreviata in GPA), vietata in Italia e ammessa in alcuni paesi dell’Unione Europea, è una forma di procreazione assistita in cui una donna, (definita madre surrogata, gestante d’appoggio, gestante per altri o portatrice gestazionale) provvede alla gestazione per conto di una o più persone, che saranno il genitore o i genitori del nascituro.
Va precisato, inoltre, che i costi di questa particolare procreazione assistita, oscillano tra 43000 e 144000 euro a seconda dei paesi dove viene praticata. Emergono inesorabilmente degli interrogativi di natura bioetica: la relazione madre gestante – figlio è contrattualizzabile? È legittimo, dal punto di vista etico, delegare ad altri quella irriducibile quanto misteriosa relazione tra generato (figlio) e gestante (madre) durante la maternità (gravidanza)? Pare che l’orizzonte bioetico è, nella fattualità delle procedure, quello dell’utilitarismo e del contrattualismo.
La Corte costituzionale ha ribadito il divieto di ricorrere alla maternità surrogata, ricorrendo ad una logica di tutela della dignità della donna e nello stesso tempo mettendo a riparo da rischi di sfruttamento coloro che versano in condizioni sociali ed economiche precarie. Tuttavia, anche se in Italia la maternità surrogata è vietata, è comunque previsto il riconoscimento del minore in casi particolari. Vale a dire che la decisione del riconoscimento è affidata, caso per caso, al magistrato.
È chiaro che la problematica, sotto questo profilo, diventa una questione biopolitica. Desiderare un figlio è di per sé cosa buona e giusta, ma è altrettanto giusto ritenere l’humanitas un prodotto della prassi anziché un suo presupposto? In altre parole è giusto che l’io venga prima del tu? Che gli interessi individuali precedano se non addirittura sostituiscano la verità dell’uomo e delle cose che lo circondano, che i diritti vengano prima dei doveri?
L’etica suggerisce che il noi viene prima dell’io, che i doveri vengono prima dei diritti e che i figli non possono essere considerati un prodotto o un oggetto di desiderio per quanto legittimo e comprensibile. Il rapporto madre gestante – figlio è un rapporto che eccede la sfera biologica, ecco perché rimane incomprensibile la rivendicazione di un figlio frutto di un sistema meccanicistico in cui il mistero, il dono e l’attesa non hanno più ragione di esistere.
Siamo vicini a quanti non riescono, per svariati motivi, a non avere il dono di un figlio e ne comprendiamo tutta la sofferenza e la disperazione ma è inaccettabile la mercificazione della vita nascente travestita da solidarietà e l’annullamento della dignità della donna stessa. È urgente, dunque, salvaguardare quell’identità per la quale la donna è madre, nella sua meravigliosa capacità generativa, e il figlio un frutto unico dell’amore e non di un costoso accordo.
Credits Foto di copertina: Tumisu da Pixabay