A Firenze, qualche giorno fa, è avvenuto uno straordinario incontro con la scrittrice Marie France Ionesco, figlia del drammaturgo Eugène Ionesco, organizzato in occasione dello spettacolo Ionesco Suite, diretto da Emmanuel Demarcy-Mota andato in scena, da poco, al Teatro della Pergola di Firenze con la compagnia del Théâtre de la Ville di Parigi insieme alle attrici e agli attori del Teatro della Toscana.
Firenze e Parigi sono legate da un rapporto forte e coeso, fondato su una comune visione del teatro del futuro, su una forte europeizzazione dell’agire artistico, sull’impegno costante nei confronti dei giovani. Questo spettacolo ha rappresentato il primo frutto del progetto L’attrice e l’attore europei, nato da un’iniziativa congiunta del Teatro della Toscana e del Théâtre de la Ville che vuole formare interpreti capaci di superare le barriere linguistiche e nazionali.
L’Institut Francais di Firenze, il più antico Istituto di Cultura francese del mondo, ha fatto da cornice a questo incontro a cui Marie France ha dato il titolo Perché Scrivo?, brano tratto dalla raccolta di saggi, Antidote, di Eugène Ionesco, in cui svela i suoi pensieri da drammaturgo.
Ionesco è stato un importante uomo di teatro che piace tanto anche oggi perché il suo è un linguaggio innovativo che, ancora dopo molti anni, riesce a suscitare delle forti emozioni in chi lo legge o in chi guarda i suoi spettacoli.
Perché scrive per il teatro? – chiesero a Eugène Ionesco molti anni fa.
La sua risposta fu solo in apparenza paradossale. Era imbarazzato a dire che lo faceva perché in realtà lo odiava; in tanti suoi scritti lo ha sempre affermato che il teatro proprio non gli piaceva. I rari testi teatrali che si concedeva di leggere lo annoiavano e trovava disonesto vedere sul palco persone serie che si davano in spettacolo, per lui la rappresentazione assassinava lo spirito dei testi scritti. Eppure è da questa contraddizione che nasce il suo incontro con il teatro e il suo successivo amore: quando mi sono messo a ridere del teatro l’ho scoperto e amato, ne sono rimasto affascinato e ho capito cosa dovevo fare.
Cosa doveva fare?: esplorare la natura stessa della teatralità, sperimentare, fare tabula rasa delle forme presenti per arrivare all’essenza vera del teatro. Ionesco volgeva la sua critica ad un teatro che non era più teatro, la sua era una critica al linguaggio vuoto e stereotipato, non ha mai voluto fare anti-teatro ma teatro nel vero senso della parola.
Ed ecco la creazione del suo teatro dell’assurdo con il rifiuto della trama, con l’uso del colpo di scena adoperato non per far avanzare l’intreccio, ma per stupire lo spettatore, per concedergli una risata, per riscattarlo dalla tensione; con l’abbandono della psicologia dei protagonisti per affondare nel grottesco, nella caricatura, in un’estetica dell’eccesso.
Ionesco voleva spogliare l’azione teatrale da tutto ciò che è particolare per tendere all’universale, voleva rinnovare l’espressione e creare un linguaggio vivo che esprimesse tutto l’inestricabile, l’insostenibile, che non fosse un cliché.
Ionesco alla fine riesce ad inventare un teatro classico: Alla fine sono per il classicismo, è questa l’avanguardia: la scoperta di archetipi dimenticati, immutabili, rinnovati nella loro espressione
Per svegliarci dall’estraneità al mondo (derealizzazione), che spesso sperimentiamo anche oggi, dobbiamo ricevere un colpo forte, fortissimo che ci tolga dal piattume che viviamo e ci restituisca il quotidiano sotto un’altra forma, proprio come faceva Ionesco con il suo teatro e come, ancora oggi, continua a fare attraverso le sue opere e le sue parole, portate nel mondo da sua figlia Marie France, che ringraziamo per la splendida lezione di vita che ci ha donato.
Photocredits: Filippo Manzini