La cattura di Matteo Messina Denaro avvenuta lo scorso 16 gennaio, potrebbe riaprire uno scenario già visto con Bernardo Provenzano. Nel 2018, dopo circa due anni dalla morte del boss corleonsese, avvenuta a causa di una malattia oncologica, la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo (Cedu) ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante, perché avrebbe violato l’art. 3 della Convenzione.
All’epoca dei fatti, la famiglia di Provenzano, catturato nel 2006 dopo 43 anni di latitanza, chiese la sospensione del regime carcerario a cui era stato sottoposto il boss, il cd. 41 – bis, a causa delle sue condizioni di salute. Nel 2015 la Corte di Cassazione, contrariamente alla decisione della Procura di Parlemo, riconfermò il regime carcerario di 41 – bis, respingendo l’istanza dei legali della famiglia di Provenzano.
La ratio di tale decisione si potrebbe giustificare dai reiterati tentativi da parte del boss di Cosa Nostra di comunicare con l’esterno e di impartire ordini, comportamenti che portarono il Ministero di Giustizia alla decisione di intensificare il regime carcerario, sottoponendo il boss al cd. “regime di sorveglianza speciale” previsto dal 14 – bis. Da premettere che Provenzano, nell’ultima fase della sua vita, era detenuto presso l’Ospedale San Paolo di Milano in cui riceveva tutte le cure adeguate di cui aveva bisogno. La Corte di Strasburgo, con tale sentenza, non ha voluto mettere in discussione tout court l’istituto giuridico del cd. carcere duro, che si applica in situazioni particolari, ma ribadiva che la decisione di mantenere il 41-bis per un detenuto che era ormai incapace di intendere e di volere, fosse non conforme alle norme della Cedu. La legale che difendeva il capomafia di Corleone, nipote del boss, fece intendere che la decisione di adire la Corte Europea dei Diritti Umani fosse una battaglia di civiltà – chiedendo un risarcimento di 150 mila euro – precisando che “l’ultima istanza fatta ai giudici non era una richiesta di scarcerazione” – aggiungendo – che chiedevano “con la sua famiglia di trasferirlo nello stesso reparto dell’Ospedale San Paolo, ma senza il 41 bis”. La sospensione del 41 bis, in effetti, avrebbe garantito ai parenti di poter incontrare Provenzano con maggiore frequenza.
La sentenza di Strasburgo, avallata dalla Corte Costituzionale italiana, rappresenta un precedente giuridico che ne il il giudice italiano ne il ministro della giustizia possono ignorare. Una domanda sorge spontanea. Qualora Messina Denaro dovesse chiedere la sospensione del 41 bis per motivi di salute, poiché affetto da un tumore al colon, come si comporterebbe il giudice italiano? Manterrebbe alte e ferme le “barriere”, oppure deciderebbe di sospendere il regime carcerario 41 bis proprio alla luce della sentenza della Corte di Strasburgo? La stessa legale che difende l’ultimo padrino finito in carcere ha dichiarato – “spero che il mio assistito sia trattato con tutte le cure adeguate”. Evidentemente voleva mettere in discussione la garanzia dello Stato di non curare i suoi cittadini allo stesso modo. Parole che potrebbero far presagire un eventuale richiesta di sospensione del 41 bis? Come per Provenzano, ovviamente, anche per Messina Denaro saranno garantite tutte le cure mediche appropriate.
Il diritto alla salute in Italia è un principio costituzionale fondamentale garantito a tutti i cittadini. La perplessità, invece, che un giorno i legali del boss possano adire la Corte di Strasburgo, per trattamento inumano e degradante – qualora la richiesta di revoca del cd. carcere duro non gli venisse concessa – potrebbe essere un’ipotesi plausibile. Cosa faranno i legali del boss Matteo Messina Denaro? Solo il tempo potrà rispondere a questa domanda.