di Sandro Sicilia
Parliamo della Corte europea dei diritti dell’uomo, organo giurisdizionale con il fine primario di assicurare il rispetto della carta europea dei diritti dell’uomo firmatari e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da parte degli Stati contraenti. È un’autorità internazionale indipendente con sede, per l’appunto, a Strasburgo.
È cosa diversa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede in Lussemburgo, che è un organo dell’Unione Europea.
I giudici che la compongono sono 47, tanti quanti sono gli Stati parte della Convezione europea dei diritti dell’uomo, eletti dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa tra i tre candidati proposti da ogni Stato per un mandato che dura 6 anni, con una giurisdizione che si estende ad una popolazione di circa 800 milioni di persone
Il Presidente, i due vicepresidenti ed il cancelliere vengono eletti, con un’elezione di secondo grado, dalla corte in seduta plenaria ed a scrutinio segreto, con mandato triennale rinnovabile per i primi due e quinquennale per quanto concerne il cancelliere.
È competente a giudicare «tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli» (art. 32 della CEDU) e può essere adita una volta esauriti i rimedi interni previsti dal diritto nazionale, in omaggio ai principi di sovranità dello Stato, di dominio riservato e di sussidiarietà, per i quali uno Stato, prima di essere chiamato a rispondere di un proprio illecito sul piano internazionale, deve avere la possibilità di porre termine alla violazione all’interno del proprio ordinamento giuridico.
È assolutamente normale provare un senso di sconforto quando siano terminati tutti i gradi di giudizio, in Italia, e non sia stato possibile provare la propria innocenza nel corso dell’intero procedimento. Peggio ancora, allorquando nonostante la piena dimostrazione della propria innocenza nel corso del procedimento nel proprio paese, una persona ritenga di essere stato comunque condannato del tutto ingiustamente.
Il presupposto fondamentale per la proposizione del ricorso CEDU è, quindi, che sia esaurito l’iter giudiziario nel proprio paese. Questo implica che, nel caso in cui un cittadino abbia deciso di fermarsi alla sentenza di primo grado, una volta che la sentenza sarà definitiva, il ricorso CEDU non potrà essere esperito, proprio perché non sono stati esauriti tutti i gradi di giudizio in Italia.
Il ricorso può essere proposto sia da ciascuno Stato contraente (c.d. ricorso interstatale) sia da una persona fisica, da un’organizzazione non governativa o da un gruppo di individui (c.d. ricorso individuale); in tutti i casi il ricorso va proposto nei confronti di uno Stato contraente, di conseguenza non risultano ammissibili atti diretti contro privati (persone fisiche od istituzioni).
Le violazioni che possono essere riportate nei motivi di ricorso CEDU sono quelle dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dai diversi protocolli CEDU.
Sono numerose le violazioni che possono giustificare il ricorso CEDU, la violazione del cd. diritto alla vita, del divieto di schiavitù o di tortura, del diritto alla libertà ed alla sicurezza, del diritto al pieno rispetto della vita privata e familiare, del diritto alla libertà di religione, di pensiero, di espressione, di riunione o associazione, del diritto ad un ricorso effettivo innanzi all’autorità giudiziaria nazionale, del divieto di discriminazione. Insomma, il sacrosanto diritto ad avere un equo processo.
In altre parole i diritti e le libertà garantiti dalla Carta europea dei diritti fondamentali sono contenuti in 54 articoli suddivisi in sei voci: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, diritti dei cittadini e giustizia, a cui si aggiungono i diritti di ultima generazione rappresentati da protezione dati, garanzie sulla bioetica e trasparenza amministrativa.
Ottenuta una sentenza favorevole da parte della CEDU il Giudice nazionale sarà obbligato ad adeguarsi a quanto stabilito dalla Corte.
È prevista anche la possibilità di ricorrere contro una decisione Cedu, entro tre mesi dalla pronuncia, alla cosiddetta Grande Camera, formata dal Presidente della Corte stessa, dai vicepresidenti e da altri quattordici giudici La Grande Camera (Grande Chambre), di diciassette giudici, può essere chiamata eccezionalmente a pronunciarsi.
Se viene riscontrata una lesione di un diritto fondamentale la Corte trasferisce il dossier al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che determina con i paesi colpiti dalla decisione le misure da adottare, tanto nel caso singolo quanto in generale, nonché il modo di prevenire future violazioni della Carta, imponendo allo stato l’adeguamento.
La sfida per il futuro sarà il potenziamento con uomini e mezzi della Corte, onde permettere, dopo l’unione economica, che anche l’unione dei popoli diventi realtà.